“La regina degli scacchi” (“The queen’s gambit”): la recensione

La regina degli scacchi” – secondo quanto ha annunciato Netflix – è il più grande successo nella storia della piattaforma: 28 giorni dal rilascio e 62 milioni di stream. La miniserie è entrata nella top 10 in 92 paesi, classificandosi al primo posto in 63. Non solo, l’omonimo romanzo di Walter Tevis, di cui la serie è l’adattamento, è ora tra i bestsellers del “New York Times”. Di più: la vendita di set di scacchi su eBay è aumentata del 250%.

La serie creata da Scott Frank è diventata un evento globale, accumulando record su record si è imposta come un’opera originale (almeno in televisione), costruita attorno ad un mondo, quello degli scacchi, tutt’altro che adrenalinico e avventuroso. Il ritmo incalzante della serie e il percorso tormentato della protagonista Beth Harmon, interpretata da una magnifica Anya Taylor-Joy (“The witch”, “Split”, “Glass”), fanno confluire su questo incredibile gioco lo sguardo appassionato di tutto il mondo.

Beth, negli anni ’50, è una piccola orfana che viene mandata in un orfanotrofio per sole donne che proseguono la propria esistenza tra canti corali religiosi, noiose lezioni e pillole ansiolitiche – di cui diventa presto dipendente. La ragazzina, di soli nove anni, nota in uno scantinato il custode, il signor Shaibel (Bill Camp), che gioca da solo a scacchi. Rimane folgorata. Da lì comincerà a imparare a muoversi sulla scacchiera, a studiare le tattiche, le aperture, i nomi e gli avversari. Comincia così l’avventura di Beth, la bambina prodigio.

Nella storia della giovane scacchista si intrecciano vari temi. In primis il ruolo della donna: nell’America degli anni ’60 non sembra esserci spazio per l’ascesa di una ragazza tra l’olimpo dei “grandi”. In un gioco dominato dagli uomini lei è una inaspettata eccezione. Comincia a districarsi presto nei tornei più piccoli, dove sono presenti solo ragazzi, stracciando tutti. Si impone, nonostante la giovane età, attirando su di sé l’attenzione della stampa e dei tornei scacchistici più importanti, districandosi dal ruolo che la donna avrebbe dovuto avere al tempo secondo la società.

I campioni mondiali però, quelli che hanno veramente il monopolio della vittoria, non si trovano negli Stati Uniti bensì nell’Unione Sovietica. Ed ecco che entra in gioco il contesto della Guerra Fredda. Tra le parole del suo avversario connazionale più importante, Benny Watts (Thomas Brodie-Sangster), si percepisce l’ideologia totalmente opposta alla loro, su cui si basa il gioco dei sovietici: loro giocano insieme, si aiutano per prevalere contro gli avversari occidentali e il loro più grande rappresentante, il campione del mondo Vasily Borgov (Marcin Dorociński), non è da meno.

Una splendida Taylor-Joy restituisce al personaggio un grande carisma, lei è ipnotica, vuole giocare a scacchi ed è la sua ragione di vita. La fragilità di una ragazza che si è trovata sotto i riflettori così presto la fanno dubitare sul suo valore, sulla strada intrapresa, cadendo nella dipendenza da ansiolitici e alcol. Ma la forza di Beth è grande, riesce a superare lutti, delusioni e sconfitte. La storia prosegue senza sosta nella sua ascesa, sarà una meteora o si confermerà una campionessa?

Una scenografia puntigliosa, una sceneggiatura avvincente, un cast di giovani attori in rampa di lancio hanno reso il prodotto di Netflix un evento mondiale. “The queen’s gambit” propone una bellissima storia di rapporti umani, una storia di scacchi, una storia introspettiva. Non resta che guardarlo

Cinema & TV
Elena Salvati

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