Lei una donna tedesca che ha superato la mezza età.
Lui un giovane immigrato del Marocco.
Intorno a loro la Germania Ovest degli anni ‘70.
La paura mangia l’anima, dal film di Fassbinder, è stata riproposta al Teatro di Villa Lazzaroni come spettacolo dal 12 al 14 maggio scorsi, per la regia di Alberto Fortuzzi, con Caterina Casini nel ruolo di Emmi e Wael Habib in quello del giovane Ali.
Una messa in scena che ricalca bene la trama della pellicola, arricchendosi però grazie alla partecipazione degli Allievi-Attori di Fondamenta. Sono ragazzi giovanissimi che fanno da contorno a tutta la rappresentazione, in parte nel ruolo dei personaggi secondari- come la barista o i figli di Emmi- in parte come narratori esterni, utili per fornirci informazioni sui luoghi delle vicende.
Sono vestiti tutti di nero, magliette e pantaloni, a differenza dei due protagonisti, i cui abiti sono quelli che ci aspetteremmo di vedergli addosso.
Sottolineare con la scelta costumistica i personaggi e le comparse avvalora il senso di una trama in cui la coppia si scontra contro il resto del mondo. Non solo le persone vicino a Emmi, anche gli amici di Ali sono dubbiosi su questa unione, chiusi in quella comunità di migranti che non si sente accettata e si stringe in sé.
Ma qualsiasi siano i dubbi altrui, quelle figure vestite tutte uguali che i giovani allievi ci propongono, non è importante.
Sono ombre sullo sfondo della vicenda, sono il pregiudizio, il dubbio, quella paura che mangia l’anima proprio come dice Ali ad Emmi, un detto arabo da cui tra il titolo l’intero spettacolo.
La scelta scenografia è quella di un palco vuoto, con in scena solo tre sgabelli, che sono le sedie del bar, quelle di casa, quelle dell’ufficio.
Tutto il resto è lasciato al lavoro di immaginazione dello spettatore, o forse volutamente ignorato per rendere la storia libera dal luogo e tempo in cui si svolge.
Perché pur essendoci riferimenti spazio temporali – le Olimpiadi di Monaco e gli attentati, il marco come valuta di scambio- la storia di Emmi e Alì è una storia di pregiudizi che potrebbe svolgersi ovunque e in qualsiasi momento storico.
Piacevole è la scelta del dialetto Veneto per i due droghieri del quartiere, la coppia da cui Emmi ha fatto la spesa per tutta la vita e che ora si trovano in imbarazzo davanti al nuovo arrivato, lo straniero.
Il dialetto per sottolineare il senso di appartenenza ai propri luoghi, di respingimento del diverso, di chiusura. Un’attenzione del regista che aumenta il peso dei pregiudizi portati in scena.
Adattare il linguaggio cinematografico al mondo del teatro può essere un azzardo, ma “La paura mangia l’anima” di Fortuzzi esce vincitrice da questa prova grazie al tema raccontato. Quando ci sono in gioco sentimenti, emozioni e argomenti caldi della nostra società il teatro vince sul cinema in una partita senza colpi di scena, scontata come è giusto che sia.
Nelle modifiche del suo adattamento Fortuzzi riesce a creare uno spettacolo in grado di interessare adulti e adolescenti, adatto a chiunque abbia la voglia di aprire la mente e guardare alle differenze umane da un altro punto di vista.
Tutto si chiude su ciò che ci rende uguali in ogni parte del mondo; il corpo umano, le debolezze fisiche, la salute che abbandona. Quella fragilità che a volte, come per Ali, è alimentata dal mondo che ci circonda, facendoci sentire in qualche modo responsabili.
Con Caterina Casini, Wael Habib
Con la partecipazione degli allievi attori di Fondamenta
Assistente alla regia Mauro Silvestrini
Traduzione e regia Alberto Fortuzzi
Produzione Associazione Culturale Laboratori Permanenti
In accordo con Arcadia Ricono Srl – Per gentile concessione di Verlag der Autoren GmbH & Co KG
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