Stanley Kubrick è considerata una delle più importanti figure cinematografiche del Novecento. Un regista che ha attraversato trasversalmente ogni genere, diventando maestro in ognuno di questi.
“Kubrick by Kubrick”, diretto da Gregory Monro, è un documentario su una delle menti più geniali del cinema, basato sulle interviste (poche, perché Kubrick era difficile da avvicinare) del giornalista Michel Ciment e raccolte nella sua monografia Kubrick, pubblicata in Italia per la prima volta nel 1981. Nel film, disponibile su Sky Arte, le conversazioni registrate tra il giornalista e il cineasta ci portano a rivivere la mente del regista.
Durante l’uscita di “2001: Odissea nello spazio” il critico cinematografico francese, aveva redatto uno studio sull’opera nuova di Kubrick, pubblicata sulla celebre rivista Positif. Il regista lo notò e cominciarono a sentirsi telefonicamente, ma Kubrick era duro da intervistare. Il primo vero contatto lo ebbe durante l’uscita di “Arancia meccanica”. I due si videro a pranzo e nacque uno speciale rapporto di fiducia. Il regista, infatti, si teneva lontano dai giornalisti, per paura di essere identificato per quello che non era. La fiducia riposta in Ciment creò un’amicizia che portò il giornalista ad intervistarlo più volte durante la sua carriera, nonostante le distanze che Kubrick cercava di mantenere dai giornali. Temeva che il suo lavoro venisse stereotipato e giudicava essenzialmente inadatto raccontare un film a parole, perché lui pensava per immagini.
Nel documentario vediamo come questa sua impostazione sia nata probabilmente in età giovanile, lavorando come fotografo. Scattava per giornali e riviste storie che difficilmente gli interessavano, ma sviluppò un linguaggio visuale che lo avrebbe portato a pensare, come detto, per immagini. Questo si ripercuoterà inevitabilmente sul suo processo artistico. I suoi due primi film – “Paura e desiderio” e “Il bacio dell’assassino” – risulteranno le sue uniche sceneggiature originali. Considerate da lui stesso opere primitivi e deboli, cominciò a lavorare prendendo ispirazione da opere già esistenti. Poteva così raccontare storie diversissime, piegandole al suo volere, condendoli con la visione amara che aveva del mondo contemporaneo. Nel lavoro di Monro, attraverso le vecchie registrazioni, possiamo vedere Kubrick raccontare sé stesso e il suo pensiero e analizzare come questo abbia poi permeato ogni sua opera. Il conflitto, sempre presente in varie forme nei suoi film, riflette la condizione intrinseca dell’uomo, che non può scampare all’orrore, di qualunque tipo esso sia.
Vengono rivelati inoltre, anche attraverso qualche piccola intervista d’archivio agli attori che hanno preso parte alle sue pellicole, i metodi di lavoro di Kubrick. Dalla sua mania della perfezione, che lo portava a girare alcune semplici scene anche più di cento volte, all’intenso studio, per immedesimarsi completamente nelle atmosfere che sarebbe poi andato a raccontare. Per un regista così conosciuto e che negli ultimi anni ha ritrovato grande fama anche nei più giovani, molti di questi “segreti” sono ormai già assimilati, ma il documentario cerca di trarre da questi qualche spunto meno noto.
Il film, che alterna immagini tratte dalle opere del regista e interviste d’archivio, ricostruisce come luogo immaginario in cui avviene la conversazione la stanza di “2001: Odissea nello spazio”, portandoci metaforicamente alla fine di un lungo viaggio nella mente di Stanley Kubrick.