Gianluca Iacono affronta il suo Vegeta al Teatro de Servi

Diventare il proprio personaggio, soprattutto quando lo si interpreta a lungo, è uno dei rischi del mestiere di attore. O di doppiatore, come nel caso di Gianluca Iacono, che al Teatro de Servi porta in scena Vegeta è morto e l’ho ucciso io, per la regia di Nicola Nocella, in replica fino al 5 febbraio. Una voce iconica, che per un quarto di secolo ha accompagnato bambini e ragazzi fan di Dragonball, il cartone giapponese in cui presta la propria parlata a Vegeta.


Fino a diventare Vegeta stesso per i suoi fan, che quando lo incontrano gli chiedono di simulare ancora e ancora il Principe dei Saiyan. «Ebbasta», dice Iacono. Seduto al centro di una scena vuota, solo una sedia, un telecomando e una bottiglia di vino, il suo personaggio lo perseguita.Esce dalla sua testa e si manifesta nella cucina, disegnata e proiettata sullo schermo a fondo palco, col fare strafottente di chi sa di valere. Perché chi sarebbe Gianluca senza i suoi personaggi?


Scacciato per un po’ Vegeta dalla cucina – sempre più chiaramente una proiezione della mente del doppiatore- appaiono altre personalità la cui voce è quella del protagonista, tra cui il cuoco americano Gordon Ramsey e Marshall, personaggio della serie How i met your mother. Ne nasce una congiura ai danni dello stesso Vegeta, ma nessuna congiura può essere solo fine a se stessa.


Entra così in scena Croccosecco, personaggio del cartone francese “Dofus – I tesori di Kerubim forse marginale nella carriera di Iacono ma che qui diviene a metà tra un grillo parlante e un fantasma dickensiano. Si rimane soli con Iacono, la sua storia, i suoi pensieri. L’uomo libero di essere se stesso, di poter tornare indietro alla gioventù, di poter riflettere in modo profondo su un percorso, di vita e lavoro, che l’ha portato a essere Vegeta per tutti i bambini e i ragazzi italiani. Cambia l’anima dello spettacolo, non però senza satira e momenti di ilarità generale, di quelli che fan ridere soprattutto i più grandi (perché chi con Vegeta è cresciuto ormai tanto piccolo non è più).


Ci sono i social, la politica, le relazioni umane, il passato, il futuro. Gianluca Iacono libero dal peso della sua voce, libero dalla sua testa piena di personaggi, accenti, copioni a memoria, tempi di registrazione serrati. Si arriva fino all’interazione col pubblico, lo stesso pubblico che per strada lo fermerebbe per chiedergli un messaggio dal Saiyan con la tuta blu. La voce è uscita dallo schermo, ci si è palesata davanti dentro a un corpo; ha un aspetto che non è frutto della fantasia di nessun disegnatore, ha mente e anima, pensieri e sentimenti.


L’impressione è che Iacono abbia scelto la sua arte, la recitazione, per un momento di autoanalisi, non chiudendo il rapporto con se stesso dentro alle mura di casa ma portandolo su un palco.


Non si tratta di egomania né di presunzione, forse un lavoro terapeutico basato sulla necessità di condividere, di relazionarsi con l’altro, di spiegare le proprie ragioni. Quasi un’Avvelenata di Guccini ma recitata; d’altronde lui, cantante, mise in musica i suoi sentimenti, un attore li porta sul palco. Un momento di raccordo tra inteprete e personaggio che, più di tanti incontri casuali o programmati fa bene ai fan. L’umanità prima del mito, la vita davvero.

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