Il valore della boxe, della disciplina, della dedizione è un tema che nella storia del cinema ha avuto modo di svilupparsi in molti titoli, puntando spesso su un filone dal sapore retorico, sugli outsider che riescono a fare proprio il sogno di sempre nonostante una vita vissuta ai margini della società. Anche Ghiaccio non è da meno. Una pellicola che nonostante una nota troppo enfatica riesce comunque a condensare la giusta cattiveria e la realtà di borgata in una storia emozionante. Disponibile su Prime Video, il film italiano ha una regia inedita: il duo Fabrizio Moro – sì, il cantante – e Alessio De Leonardis, anche lui esordiente dopo un passato tra documentari e videoclip.
Giorgio (Giacomo Ferrara) è un giovane pugile del quartiere periferico romano del Quarticciolo. Dopo la morte del padre due anni prima per mano della malavita capitolina, si ritrova impantanato nella melma della criminalità, assediato da uomini di potere che vogliono fargli pagare le colpe del padre. Con una madre (Lidia Vitale) sconfitta e arresa, chi prova a dare una svolta alla vita di Giorgio è Massimo (Vinicio Marchioni), un ex pugile che al momento di fare il salto di qualità per entrare nel professionismo mancò l’obiettivo, un obiettivo che ora ritorna come unico faro di speranza per salvare Giorgio da un destino quasi scritto.
Il pugilato, in Ghiaccio, ritorna quindi come antidoto per gli outsider. Una sorte di redenzione per una colpa che non hanno ma a cui la vita li ha condannati. Da qui una retorica fin troppo esacerbante condisce un bellissimo rapporto che si crea tra Giorgio e il suo allenatore Massimo. Dedizione, obiettivi, mamma borgata, guadagnarsi un posto nel mondo giorno dopo giorno. Troppe lezioni di vita che avrebbero potuto essere smorzate per cercare di creare un’affinità più autentica tra il pubblico e la storia, senza stonature smielate dal facile espediente.
Nonostante ciò, i due attori convincono sotto ogni punto di vista e riescono a regalare con la loro prova questo intreccio tra film di pugilato hollywoodiano e Suburra, da cui peraltro provengono alcuni degli attori, come Giacomo Ferrara, il famoso Spadino della serie. Dietro l’abbondante ampollosità si cela la cruda e naturale cattiveria di periferia, la condanna delle persone a sopravvivere più che a vivere, la difficoltà di emergere senza rimanere incastrati nel giro della criminalità organizzata. La cattiveria sana e dirompente che guida il protagonista, la bussola morale, di vita vissuta, che incarna l’allenatore. Sono questi gli elementi di attaccamento al reale, lo spaccato di mondo dove la bontà è attaccata su tutti i fronti dal disagio e dal male.
In un simbolismo dirompente, a partire dallo stesso titolo del film, Ghiaccio racconta con autenticità una storia emozionante, con qualche stonatura da esordio, riuscendo a canalizzare diversi temi in un’unica sincera storia di passione, amore e rivalsa.