FURORE ALL’INDIA: La recensione

Polvere, la polvere rossa dell’Oklaoma, che come nube scurisce il cielo, che si disperde, che ammanta la terra.

Trascorsa è la stagione delle ultime piogge all’origine di “Furore” di John Steinbeck che, adattato dalla regia di Emanuele Trevi, diviene opera sonora e abita a partire da ieri lo spazio del Teatro India di Roma.

Si apre la scena come spazio nudo, chino sul leggio il narratore (Massimo Popolizio) inizia ad evocare paesaggi, gli stessi che prendono corpo nelle proiezioni alle sue spalle: laddove la voce vibra, risuona metallica, accentua l’allitterazione, tramuta il testo in materia plastica, viva.

Racconta dei contadini del sud, del mais sradicato dal vento, dell’esodo dei mezzadri ormai privi di terre: alternando un discorso indiretto quasi onnisciente, al dialogo tra personaggi; il suo timbro procede altisonante, parallelo alla successione dei quadri; quand’ecco che il suo racconto si lascia sospingere dalla sonorizzazione visionaria di Giovanni Lo Cascio che, posto sulla sinistra del proscenio, restituisce dal vivo i rumori, le atmosfere della narrazione.

Procedendo vivide sullo sfondo, si muovono le immagini: banche “respiratrici di profitti”, trattori come “mostri camusi dalle lame taglienti”, poi i visi dei bambini pallidi come il mais sradicato.

“Come faremo a vivere senza le nostre vite?” –  costretti ad abbandonare beni e terre, famiglie erranti migrano verso ovest come popolo in fuga con lo sguardo rivolto al passato.

New Messico, montagne rocciose; deserto, poi altro deserto: sperduti entro un paese in cui “non c’è posto per tutti”, gli esuli appaiono colmi di nostalgia, sono resilienti poi sempre più furenti, fino a quando una rabbia repentina comincia a fermentare dentro di loro.

Forte di una riscrittura che sembra addentrarsi tra le pagine del romanzo ed estrarne nitidamente gli elementi, l’opera si afferma armonica, bilanciando ed accordando al suo interno tutte le sue componenti: la voce si fa corpo, lo strumento si fa atmosfera, il timbro riesce ad esacerbare le componenti di uno specifico metodo narrativo fino a vivificarlo, a metterne in luce la profonda attualità.