Valerio Di Benedetto si è calato nei panni del fratello di Emanuela per raccontarci la vita di chi la cerca da quarant’anni
Le vite degli altri, quando diventano fatti di cronaca, lasciano la dimensione del privato per proiettarsi in quella pubblica. A volte per pochi giorni, a volte per decenni. La vita di Pietro Orlandi è tra le espressioni maggiori di questo terribile destino, essere obbligati a farsi personalità pubblica perché nel tuo privato è successo qualcosa di così drammatico da dover appartenere a tutti.
Pietro Orlandi, fratello, andato in scena al Teatro di Villa Lazzaroni il 23 e 24 novembre, è il monologo scritto e diretto da Giovanni Franci e interpretato da Valerio Di Benedetto, scava nei quarant’anni dedicati da Pietro Orlandi alla verità sulla scomparsa della sorella, uscita di casa il 22 giugno 1983.
Sul palco Di Benedetto è accompagnato da una serie di cartelli che ci svelerà man mano, un lungo elenco di cognomi noti. Uomini politici, uomini di Chiesa, uomini di potere che in una storia di vita normale ben poco avrebbero dovuto aver a che fare con una ragazzina di quindici anni. In una storia di vita normale che non è quella della famiglia Orlandi. Pietro Orlandi, fratello ripercorre questi quarant’anni da fratello di Emanuela. Non inquirente, poliziotto, magistrato, politico.
Neanche assetato di complotto, visionario, uomo dalle ipotesi fantasiose.
Pietro Orlandi cerca la verità, qualsiasi essa sia. Cerca un punto, la fine, la conclusione di quel giorno di giugno che è iniziato e non è mai finito.
Nei suoi panni Di Benedetto mostra tutta la fragilità umana possibile, quella che mischia dolore e rabbia, paura e speranza.
Come quel viaggio in nord Europa convinti di aver trovato Emanuela, quando Pietro e i genitori partirono in segreto. Nella tasca del pantalone un pacchettino, un regalino per la sorella ritrovata.Mai dato, perché anche quel giorno la speranza fu vana.
Valerio Di Benedetto ha una capacità interpretativa tale da farci credere che sul palco ci sia davvero Pietro Orlandi. Il testo, frutto di una lunga conversazione tra Franci e lo stesso Orlandi, è sentito, entra nell’animo dello spettatore, contorce le budella. Perché una cosa è sapere, leggere sui giornali, orecchiare una notizia. Fare da pubblico alla cronaca quotidiana. Un altro vedere chi di quella cronaca è protagonista, chi vive dentro ai fatti perché le cose gli sono capitate attorno e non può esimersi.
Noi possiamo chiudere un giornale, spegnere la televisione, ignorare che dopo quarant’anni di Emanuela Orlandi ancora non si sa nulla. Lui no, e lo spettacolo di Franci e Di Benedetto ci chiede di fermarci a non ignorare. Teorie, idee, telefonate anonime, connessioni tra Stati e poteri. Tutto viene ripercorso lungo lo spettacolo con attenzione e cura. In ordine per non perdersi, per non rimanere incastrati tra i livelli e gli eventi che si sono susseguiti nel tempo.
Le piste e i depistaggi, i misteri di Roma e del Vaticano che la storia di Emanuela Orlandi intreccia, a cominciare dalla sepoltura di Enrico de Pedis in Sant’Apollinare. E dietro a queste trame da romanzo thriller, che invece vivono il dramma d’esser tutte vere, resta il dolore di una famiglia. Una ragazzina scomparsa, fratelli e sorelle cresciuti, diventati adulti e poi genitori, che hanno in testa l’immagine di quell’assenza. Non bastano le ricostruzioni al computer per darci l’idea di cosa sarebbe Emanuela oggi. Non sono sufficienti i dettagli di un viso invecchiato, manca tutta la persona che non ha potuto essere.
Dal racconto di Orlandi come portato in scena da Di Benedetto si evince la grande dignità del dolore. Tanta da aver pensato per anni che il Vaticano nulla potesse aver a che fare con quel pomeriggio di giugno. Si chiede verità, giustizia. Mai vendetta. «Tutte le volte che vado a trovare mia madre mi chiede se ho trovato Emanuela», dice. Basta questo.
Una donna che aspetta che la figlia torni, che si trovi. A noi, che non siamo gli Orlandi e non possiamo capire quel dolore, che non siamo inquirenti e non possiamo trovare risposte, non resta che la memoria. Portare avanti, ascoltare, ricordare. Non girare la testa. Permettere a Emanuela di esistere oltre quel giorno, per tutto il tempo che servirà.
Fino alla verità.
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Pietro Orlandi, fratello – Scritto e diretto da Giovanni Franci – Con Valerio Di Benedetto – elaborazioni digitali Nuvole Rapide Produzioni – direzione tecnica Umberto Fiore – assistente Fabio Del Frate – Teatro Villa Lazzaroni di Roma 23 e 24 novembre 2024