Cartoline da Cartagena: Gabriel Garcia Marquez

Tutto il mondo della cultura ricorda Gabriel Garcia Marquez, premio Nobel per la letteratura scomparso a Città del Messico il 17 Aprile del 2014, inserito fra i giganti del secolo scorso.  Un grande scrittore come Octavio Paz (anche lui Nobel per la letteratura), mi disse in un’intervista: “Marquez ci ha restituito un’idea di letteratura che resterà’ vivissima nel tempo” e alla quale molto spesso aggiungiamo noi, il Cinema si è dissetato. A cinquant’anni di distanza, Gabriel Garcia Marquez, la cui vita potrebbe essere nel cinema che lo ha tanto amato un blockbuster, è stato lo scrittore latino americano insieme a Borges, Carlo Fuentes, Mario Vargas Llosa, Julio Cortazar, lo stesso Octavio Paz che hanno contribuito al boom letterario latino-americano degli anni sessanta fino agli anni ottanta. ”Cent’anni di solitudine” è stato certamente l’opera letteraria  di Marquez che gli ha portato una fama internazionale come romanziere del cosiddetto  movimento del “Realismo magico ”, che ha poi influenzato anche gli scrittori latino americani delle  nuove generazioni dagli anni settanta in poi, come l’immenso Luis Sepulveda o più recentemente Isabella Allende che Marquez vide crescere all’epoca  della sua solidarietà’ al Presidente del Cile Salvator Allende, barbaramente ucciso in Cile dal colpo di Stato ordito dai generali infedeli, foraggiati dalla Cia contraria al vasto programma di  nazionalizzazione dell’industria privata cilena avviata dallo stesso Allende. ”Cent’anni di solitudine” mi disse  Sepulveda, in un’intervista a Roma  sul ritrovamento del corpo del Che, ha senz’altro stimolato la creatività’ di tanti giovani letterati e non solo latino-americani. Durante le riprese di un mio documentario prodotto dal Tg1 della Rai, girato nella splendida città di Cartagena Des India, “La perla del Caribe” dedicato a Marquez durante la grave malattia che lo affliggeva, a Città del Messico intervistai molti giovani giornalisti del quotidiano “El Espectador” ricordando i primi articoli che un giovane Marquez scriveva per vivere. Era così povero che dormiva sui rotoloni della carta per stampare mi dissero, ma la sua luce come i suoi scritti già brillavano.

Gabo” come  lo ha sempre chiamato il popolo, grazie al  successo letterario,  si era fatto costruire alla fine degli anni settanta, proprio di fronte al mare nella città’ vecchia oggi patrimonio dell’Unesco, una bella casa che ha abitato a lungo fino alla fine e che conserva ancora i ricordi dello scrittore, come la bella scuola gratuita di giornalismo dove insegnava ai giovani il difficile lavoro del cronista.  “La cosa più’ brutta per un giornalista” diceva durante le sue lezioni sempre affollate di giovani, “è il cancro della retorica”. “Cent’anni di Solitudine” è una stupefacente metafora della storia del popolo colombiano, dalla fondazione allo Stato contemporaneo, un romanzo epico che trasporta il lettore a vivere diversi miti e leggende locali attraverso la storia della famiglia Buendía, i cui membri per il loro spirito avventuriero si inseriscono negli eventi storici del Paese come l’arrivo e l’affermazione della politica liberale a fronte di un vecchio e superato stile di vita coloniale. L’arrivo della ferrovia che cambia l’esistenza stessa di un Paese che si estende dai quattromila metri della Capitale Bogotá, fino al mar dei Caraibi che bagna Cartagena, Barranquilla e Santa Marta, raggiunte da un piccolo treno a vapore a cremagliera, in un viaggio indimenticabile che ho avuto la fortuna di documentare per la televisione, con la scoperta di costumi, usanze e cittadine come Honda, colorate di celeste vivo arrampicate su verdi pianure ferme come per magia nel tempo. I romanzi di Gabriel Garcia Marquez hanno rapito milioni di persone ed anche tanti registi Italiani come Francesco Rosi che girò a Villa De Leyva “Cronaca di una morte annunciata”. La mia conoscenza (non oso chiamarla amicizia, quella era una bella e umana esclusiva del mio mito Gianni Minà), risale alla fine degli anni settanta, quando come capo ufficio stampa di un film con Enrico Maria Salerno  e Nino Manfredi dal titolo “Cocco mio”(titolo originale “Contact”) che si girava in esterni in Ghana ad Accra, riuscii a portare sul set del primo film che parlava di corruzione sociale, una ventina di giornalisti delle maggiori testate Italiane ed estere. Il fotografo di scena caro a registi come Gillo Pontecorvo che aveva appena finito di realizzare proprio a Cartagena “Queimada” con Marlon Brando, era Divo Cavicchioli  con il quale  nacque subito una sincera amicizia parlando di cinema  e di quella “Queimada”, terminata la quale, buona parte della troupe  innamorata utopisticamente di un angolo storico ai Caraibi, caro a un grande scrittore come Marquez di cui diventarono amici , buona parte di quella troupe  dicevo, ad esclusione di Brando, Pontecorvo e Renato Salvatori, rimasero a Cartagena compreso l’amico Cavicchioli che mi raccontò dell’affetto di Gabo e della conoscenza di tanti artisti come il pittore Obregon e della vita fantastica lontano dal caos delle grandi metropoli.

La cosa mi colpì tanto che ritornato a Roma, pubblicai un articolo che parlava del set “perduto” di  “Quemada”; poi senza pensarci troppo, presi il primo volo disponibile a Fiumicino e dopo uno scalo ritornai a Cartagena.  Raggiunsi Cavicchioli, senza avere un telefono  per avvisarlo:fui fortunato.  Arrivai alle otto del mattino con un volo locale dell’Avianca da Bogotá, alle nove facevo già il bagno di fronte all’”Ambayada de Italia”, il ristorante che Cavicchioli aveva aperto sulla sabbia bianca del laghetto e alle dodici a tavola a gustare un piatto di fettuccine con tutti gli ex della troupe, Cavicchioli, il sottoscritto e naturalmente Gabo. Alle diciannove riprendevo l’aereo per Bogotá destinazione Roma, ma due mesi dopo tornai per investire ed aprire con Dino un nuovo ristorante che chiamammo in omaggio a Fellini, “La Dolce Vita”.  Ma la figura di Marquez era sempre presente nelle nostre cene o nei racconti del caro amico Salvo Basile ex attore durante “Queimada”,  oggi importante producer televisivo e soprattutto dopo la scomparsa di Dino Cavicchioli, custode della memoria di quella Cartagena e di un mago della letteratura che ci aveva stregati a cui, chiudendo il cerchio della vita dedicai  proprio il documentario per la Rai, che Marquez fece a tempo a vedere grazie all’operosità di Salvo Basile, che organizzò una proiezione speciale nell’antica piazza di Santo Domingo, dove in prima fila c’era lui,  il grande protagonista di questa storia: Gabriel Garcia Marquez. La seconda volta che rividi Gabo, anni dopo come inviato speciale a Mosca del Tg3 assieme ad un giovanissimo Michele Santoro, fu durante la Perestrojka di Michail Gorbačëv, sciovinista che liberalizzava e cambiava il mondo. Gabo era suo grande amico, ospite anche lui del Festival Internazionale del Cinema, parlammo di tante cose e soprattutto dei grandi cambiamenti che si aprivano al mondo. Successivamente lo incontrai  a Cuba, quando Gianni Minà mi invitò a seguire una delle edizioni all’Avana del Festival Internazionale del Cinema latino-americano, Gabo molto legato a Fidel Castro aveva contribuito  con l’amico Cesare Zavattini, che conosceva sin dai tempi di quando frequentava a Roma il Centro Sperimentale, e con lo scrittore e saggista Fernando Birri  aveva contribuito come dicevo con Fidel alla nascita della famosa (ancora oggi) Scuola di Cinema di Sant’.Antonio De Los Baños a pochi chilometri dall’Avana. Quell’anno Gabo fece quanto poteva grazie all’amicizia personale con il Presidente Clinton, per sbloccare la vicenda di un bambino rapito dalla madre cubana a Miami che non era libero di tornare a Cuba dal padre, montando un ennesimo incidente diplomatico fra Stati Uniti e Cuba di cui parlarono a lungo i giornali e le televisioni, fra cui la potente CNN.

”Cent’anni di solitudine” è stato  votato come seconda opera in lingua spagnola  più importante mai scritta, durante il Congresso Internazionale della lingua Spagnola, tenutosi  proprio a Cartagena nel marzo del 2007, l’opera per la cronaca  è stata preceduta solo da  “Don Chisciotte Della Mancia” di Miguel De Cervantes. Fra i romanzi di Marquez pubblicati in tutto il mondo spiccano soprattutto “L’Autunno del Patriarca”, ”Cronaca di una morte annunciata”, ”L’Amore al tempo del colera” e “Notizia di un sequestro”, un libro intervista agli ostaggi di un sequestro di persona ad opera  del celebre trafficante Pablo Escobar. Marquez lottò nel 1986, opponendosi all’estradizione di Escobar negli USA, sostenendo che il trafficante doveva essere giudicato per i suoi crimini in Colombia (Escobar morì poi in uno scontro a fuoco con le forze governative). Nel duemila “Gabo” si sottopose a Los Angeles ad alcuni cicli di chemioterapia per una grave forma di linfoma, ma continuò’ ancora a scrivere pubblicando “Viverla per raccontarla”, dedicato proprio alla sua splendida Cartagena e “Memorie delle mie puttane tristi”.  Il finale del mio documentario “La perla del Caribe” dedicato a Cartagena e a Gabo termina senza il protagonista ma grazie ad un mio espediente, trovai una controfigura che gli somigliava molto e che ripreso di spalle, elegante, in pantaloni scuri di seta, camicia bianca con sombrero e bastone mentre ripercorre accompagnato in sottofondo da uno struggente bolero, entrava in un ampio portone della vecchia Cartagena, si siede all’ombra di un platano nell’atto di scrivere e commentato dalla voce fuori campo dice: Aveva proprio ragione Gabo Marquez, quando titolava il suo libro biografia “Vivere per raccontarla“, Cartagena per raccontarla bisogna viverla. Mi hanno riferito e non ho motivo di dubitarne, che alla fine della proiezione “Gabo” il poeta, aveva le lacrime agli occhi.

* Critico cinematografico e letterario, giornalista, dal 1976 inviato speciale RAI (TG1, TG2, TG3, TG3 Regionale, Rete Uno, Rete Due, Rete Tre) per Cinema, Spettacolo, Costume

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