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Al Costanzi si comincia con Wagner

Il Lohengrin diretto dal Maestro Mariotti con la regia di Damiano Michieletto apre la nuova stagione del Teatro dell’Opera di Roma

Dal realismo dei volti del potere al mondo quasi metafisico del sogno, è così che l’Opera di Roma è passata dalla stagione 2025 a quella 2026, scegliendo di aprire con il Lohengrin di Wagner, in scena al Costanzi fino al 7 dicembre. Un ritorno atteso cinquant’anni, e che è una prima volta per quasi tutti: il Maestro Michele Mariotti, il registra Damiano Michieletto e il tenore Dmitry Korchak, protagonista di quest’opera che vive a metà tra il poema cavalleresco e la fiaba. 

Una prova riuscita, a cominciare dalla direzione di Mariotti, che davanti alla sfida-Wagner non delude le aspettative e conduce l’Orchestra dell’Opera di Roma lungo le quasi quattro ore di rappresentazione senza mai interrompere – intervalli esclusi – quella linearità musicale che ne è simbolo. 
La musica è così al centro della rappresentazione, aiutata anche dalle scelte registiche di Michieletto, che porta sul palco la sua impronta innovativa creando un Lohengrin fuori dal suo tempo, a partire dai costumi di Carla Teti che ci riportano agli anni ’50 più che al medioevo, e continuando con la scenografia di Paolo Fantin che risulta essere essenziale, niente torri o palazzi all’orizzonte, mentre da padrone la fanno le luci di Alessandro Carletti e la contrapposizione tra nero e argento, male e bene, corruzione e purezza.

Via il cigno, simbolo per antonomasia di quest’opera Wagneriana, e dentro l’uovo, quel che c’è prima, la vita in potenza, il futuro di là da venire. Il dubbio, quel dilemma che quando si scioglie conduce a una direzione certa (conoscere le origini di Lohengrin, andare incontro alle conseguenze) ma finché resta chiuso permette di immaginare a cosa potrà dar vita.

Quella di Michieletto è una regia che potrebbe non esaltare i puristi, chi Lohengrin vuol vederlo nella sua Germania medievale di castelli e dame, ma che rientra a pieno titolo nel suo stile. È l’anima dell’opera che deve parlare, non l’esterno. Una regia concettuale, studiata per far comprendere senza essere didascalica, perché per quello Wagner si basta da sé. Una realizzazione che potrebbe apparire involontariamente elitaria, in grado di parlare solo a chi l’opera la conosce e meglio apprezzare le scelte innovative e caratteristiche del regista, risultando forse non di immediata comprensione per chi il mondo lirico lo ha da poco incontrato.

In quest’opera così esteticamente pulita risalta poi il lavoro degli interpreti, a cominciare da Clive Bayley nel ruolo del Re Heinrich. All’abilità tecnica riesce a unire una recitazione in cui si bilanciano il lato istituzionale del personaggio e la caratteristica emotiva. È il senso di un’opera in cui nessun personaggio è stato reso bidimensionale. E infatti ecco Friedrich von Telramund (Tómas Tómasson) e Ortud (Ekaterina Gubanova) la coppia nemica, gli antagonisti. Nel loro belcanto c’è la rabbia e la violenza, fisica ed emotiva. Le emozioni negative risalgono su, diventano quasi fastidio per lo spettatore.

Così come dall’altra parte c’è la serietà di Dmitry Korchak, che al suo Lohengrin dà una rigidità caratteriale che ben si sposa col suo ruolo vero e con la profondità spirituale che gli è richiesta. Al suo fiancoJennifer Holloway, Elsa pura, sicura della sua innocenza ma quasi capricciosa nel voler sapere la verità sull’origine di Lohengrin, come se tra loro il dialogo non fosse mai pari. C’è uno scalino tra l’umanità dell’amore, sentimento nobile ma umano, e la sacralità del ruolo di Lohengrin, che viene ben sottolineata dall’interpretazione dei due protagonisti. 

Degno di nota è poi stato Andrei Bondarenko nel ruolo dell’araldo del Re, in questa produzione forse più vicina a un notaio, e dei quattro gentiluomini (Alejo Álvarez Castillo Dayu Xu Guangwei Yao Jiacheng Fan), oltre che delCoro dell’Opera di Roma e del suo Maestro Ciro Visco, che opera dopo opera si riconferma elemento portante del Costanzi. 

Se per l’Opera di Roma e i suoi protagonisti questa era una prima quasi assoluta, cinquant’anni sono tanti anche per una pietra miliare come Wagner, quel che si prospetta per abbonati e appassionati è una stagione intensa. Diversa dalla precedente e proprio per questa da guardare con attenzione, perché pone al Costanzi una nuova sfida, un’inversione di marcia rispetto allo scorso anno. Da questo punto di vista la scelta del Lohengrin, che pure sarebbe potuto entrare a pieno titolo in una stagione dedicata ai Volti del potere, è chiara: c’è un lato onirico, sentimentale, metafisico quasi, del mondo, ed è questo che si vorrà esplorare.

D’altra parte se ha ragione chi dice, come Giancarlo de Cataldo, che nell’opera c’è tutto della vita umana non si capisce perché bisognerebbe lasciar fuori da questo tutto il lato che trascende la quotidianità in senso stretto, quello meno concreto. Che poi, forse, è il più concreto di tutti.

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Lohengrin di Richard Wagner – Regia Damiano Michieletto – Direttore Michele Mariotti – Con Clive Bayley (Heinrich der Vogler), Dmitry Korchak (Lohengrin), Jennifer Holloway (Elsa von Brabant), Tómas Tómasson (Friedrich von Telramund), Ekaterina Gubanova (Ortrud), Andrei Bondarenko (Der Heerrufer des Königs), Alejo Álvarez Castillo(Vier Brabantische Edle) , Dayu Xu , Guangwei Yao, Jiacheng Fan, Andrei Bondarenko (Der Heerrufer des Königs), Alejo Álvarez Castillo (Vier Brabantische Edle), Mariko Iizuka, Cristina Tarantino, Silvia Pasini, Caterina D’Angelo (Vier Edelknaben) – Maestro del Coro: Ciro Visco – Scene: Paolo Fantin – Costumi: Carla Teti – Luci: Alessandro Carletti – Drammaturgo: Mattia Palma – Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma – Nuovo allestimento Teatro dell’Opera di Roma in coproduzione con Palau de les Arts Reina Sofía di Valencia e Teatro La Fenice di Venezia – Teatro dell’Opera di Roma dal 27 novembre al 7 dicembre 2025

Ph di scena ©Fabrizio Sansoni




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