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A House of Dynamite: mancano 18 minuti alla fine del mondo

Kathryn Bigelow torna al cinema e su Netflix per dirci che non abbiamo più tempo. 

A House of Dynamite è il nuovo film di Kathryn Bigelow. Era dal 2017 che attendevamo un cenno dalla prima donna a vincere un Oscar per la miglior regia, nel 2010, con nel pluripremiato The Hurt Locker . E il suo ritorno non passa affatto inosservato. Uno scenario apocalittico che rappresenta forse LA grande minaccia ansiogena, che va avanti da generazioni: il nucleare. Spaventosamente reale, incredibilmente vicino. Un’inquietante profezia. O una semplice presa di coscienza. Senza dubbio uno dei migliori film di quest’anno, e forse il più importante.

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Scrivere la recensione di A House of Dynamite è un’operazione tutt’altro che semplice.  E non di certo perché questo film non dia di che parlare, anzi. La riuscita tecnica. La sceneggiatura incredibile dalla firma Noah Oppenheim. Il finale un po’ sospeso. Di questo e di molto altro c’è tanto (di positivo) da dire.

La difficoltà sta più nel recuperare la lucidità per riuscire a parlarne senza che l’ansia blocchi il cervello e le dita di chi scrive. (Attenzione a chi soffre di attacchi di panico! Il film potrebbe davvero causarne). Senza che, proprio alla luce di quanto emerso dal film, questa recensione e tutto il resto non contino più assolutamente nulla. Il rischio, che contiene intrinsecamente il significato più completo del fare cinema, è che, usciti dalla sala, tutto diventi irrimediabilmente futile. Ché senza la Terra non ha più senso battersi contro le guerre e i genocidi in atto. Battersi per i diritti, per la libertà. Non ha più senso farsi domande sul futuro. Bastano 18 minuti, ma forse anche meno, per spegnere tutto.

Perché 18 minuti? 18 sono i minuti che vengono raccontati nei 112 del film. 18 minuti per tre volte, da tre prospettive diverse. Quelle di chi si ritrova, in una mattinata comune, di un giorno di ordinaria follia, a decidere le sorti del mondo. 

Questa è una parziale verità. Perché ad essere sinceri, e Bigelow qui lo esclama a gran voce, la scelta è già stata presa da decenni. Da quando quella mattina del 16 luglio 1945 il cielo del New Mexico bruciò per il primo test nucleare della storia. Da quasi un secolo viviamo, ormai così anestetizzati da non rendercene conto, in una casa imbottita di dinamite. Non si tratta più di pensare se questo scenario apocalittico si avvererà mai, ma quando si avvererà. E A House of Dynamite non fa altro che sbatterci in faccia quanto sia urgente prenderne coscienza. 

Prenderne coscienza. Renderlo concreto, tangibile, vicino a noi. È bene pensare, quando si va a votare, che le persone che scegliamo per rappresentarci sono le stesse che hanno materialmente il potere di schiacciare o meno il bottone della fine del mondo. Le stesse che hanno scelto il riarmo o la via della pace. Le stesse più o meno vicine a un sistema militare che è addestrato alla guerra. Persone che per tutta la vita si sono formate per difendere e combattere. Persone per cui, probabilmente, è più nobile il suicidio della resa.

Ebbene loro, quelli al vertice, potranno entrare in un bunker anti nucleare o andare a colonizzare altri pianeti, lasciando noi comuni mortali a fare i conti con il nostro essere umani. Mortali, fallibili, egoisti, deboli e scorretti. Ma soprattutto irrimediabilmente schiavi del potere. 

Non è chi di competenza, consapevole e preparato da anni, a prendere la decisione definitiva. A farlo sarà sempre l’eletto. Nient’altro che una star (non a caso il Presidente più amato dagli americani era un attore) portata via in fretta e furia dal riflettore e costretta, in qualche minuto, a scegliere da un menù accuratamente selezionato e diviso per colori. 

Sembra tutto così assurdo che Bigelow sceglie sapientemente dei piccoli escamotage per far percepire al pubblico i personaggi attaccati alla loro umanità. Primo tra tutti il legame con l’amore (che sia esso sentimentale, familiare o sviluppato in qualsivoglia forma), a parere di chi scrive la cosa più caratterizzante del nostro essere umani, e la più grande debolezza. Lo dimostra il primo pensiero che si ha quando si capisce di star per morire. Da chi si vuole contattare per primo. Dalle telefonate che partono di nascosto dalle sale del potere, tra un ordine e un altro.

Lo dimostra il presidente degli Stati Uniti d’America che, un secondo prima di dover scegliere tra la resa e il suicidio, si aggrappa a quella poca rete telefonica che gli trasmetterà il consiglio di sua moglie. 

A House of Dynamite è un film da vedere quanto prima. La sua importanza è indissolubilmente interconnessa alla sua attinenza alla realtà. Il finale tende a lasciare il pubblico con il fiato sospeso e un pizzico di delusione. Allo stesso tempo questo non fa che aumentare la sensazione di angoscia e precarietà di tutta la pellicola, appiccicando addosso questo malessere per giorni. Bigelow vuole lasciare un segno dentro ogni spettatore, una consapevolezza forse nuova, forse confermata. A House of Dynamite è al cinema e su Netflix. Vi rimangono, forse, 18 minuti per guardarlo.

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A House of Dynamite – Regia di Kathryn Bigelow – Sceneggiatura: Noah Oppenheim – Con: Idris Elba, Rebecca Fergusson, Gabriel Basso, Jared Harris, Tracy Letts, Anthony Ramos, Moses Ingram, Jonah Hauer-King, Greta Lee, Jason Clarke, Malachi Beasley, Brian Tee, Brittany O’Grady, Gbenga Akinnagbe, Willa Fitzgerald, Renée Elise Goldsberry, Kyle Allen, Kaitlyn Dever, Neal Bleadsoe – Musiche: Volker Bergemann – Scenografia: Jeremy Hindle – Effetti speciali: Chris Harvey – Montaggio: Kirk Baxter – Costumi: Sarah Edwards – Fotografia: Barry Ackroyd – Produzione: First Light Productions, Netflix, Prologue Entertainment – Uscita nei cinema: 2 settembre 2025

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