“A Classic Horror Story”: l’orrore italiano tra modernità e folklore

Quando si parla di cinema horror si fa sempre riferimento ai grandi classici del passato, ai cult che hanno cambiato il genere, ricordando i registi più noti. Se ne parliamo in salsa italiana il bottino, più magro, ripercorre le storiche pellicole di Argento, Fulci e Avati. Ma nel panorama mondiale questo genere sembra si sia fossilizzato negli ultimi anni sempre sulle stesse tecniche: agguantare lo spettatore e farlo saltare con uno jumpscare buttato là in mezzo al momento opportuno.

In Italia l’horror è quanto mai relegato al passato, con qualche grido nel vuoto lanciato di tanto in tanto. Quando questo grido viene lanciato, però, è giusto coglierlo e farne da eco. È questo il caso di “A Classic Horror Story”, il film italiano uscito a luglio su Netflix.

In realtà il titolo parla da sé, annunciando subito a cosa lo spettatore deve andare incontro: una classica storia dell’orrore. Quindi siamo alle solite? Non proprio. Certo, alcuni elementi sembrano proprio quelli del classico film horror statunitense: un gruppetto di persone, un bosco e apparentemente nessuna via di uscita. Nonostante i cliché e le citazioni, la pellicola analizza tematiche tutt’altro che superficiali, narrando storie che si radicano in profondità in terra sud-italica, ma che convergono allo stesso tempo verso alcuni temi della nostra società attuale.

I registi Roberto De Feo e Paolo Strippoli mettono in scena una narrazione apparentemente classica, che strizza l’occhio alle produzioni hollywoodiane. Elisa (Matilda Anna Ingrid Lutz), una giovane donna che deve tornare a casa per affrontare un’operazione a causa di una gravidanza imprevista; Fabrizio (Francesco Russo), un aspirante regista; Riccardo (Peppino Mazzotta), un dottore con un recente passato da affrontare; Mark (Will Merrick) e Sofia (Yuliia Sobol), una coppia di ragazzi affiatata, si ritrovano tutti a condividere un pullmino per andare in Calabria. Poi un incidente, la strada sparita e un bosco che li circonda. L’unica parvenza di vita umana nell’entroterra calabrese (in realtà il film è girato tra Roma e la Puglia) è un’inquietante casa a forma di stella. Da qui il terrore si insinuerà nelle vite delle sfortunate vittime che dovranno fare i conti con un male estirpato proprio dalla tradizione e dai miti del sud Italia.

I registi, partendo dalle premesse più convenzionali, riescono a trasformare una storia banale in un intreccio coinvolgente, con una sceneggiatura convincente che vuole affrontare in maniera più o meno diretta argomenti per noi di casa. Per non lasciare spazio agli spoiler, si può dire senza esagerazione che il film tratta delle tematiche fin troppo conosciute a noi italiani e radicate anche in terra calabrese attraverso un genere che, forse, ha la potenza adatta a parlarne, dipingendo in maniera grottesca una realtà ben più mostruosa di ogni creatura fantastica.

Con una satira che affronta il cinema italiano e passa anche per l’attuale bisogno delle persone di sfamarsi di sangue e orrore attraverso la cronaca nera quotidiana, il film si distanzia, quindi, dal classico horror, soffermandosi sulla nostra contemporaneità, senza tralasciare i miti delle sue fondamenta.

In un’atmosfera diversa ma inquietante, il “noioso” jumpscare, non sarà il vostro nemico. Un’ansia costruita ad hoc, accompagnata da vecchie canzoni italiane nei momenti topici e il folklore, si mischiano al sangue, al terrore e allo splatter. Con dei plot twist metafilmici, il passato che si intreccia con il moderno, “A Classic Horror Story” è tutt’altro che classico. Senza urlare al capolavoro è, in un panorama italiano molto scarno in questo genere, un grido di speranza per una categoria di film che merita sicuramente qualcosa in più.

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