A che servono questi quattrini: un invito a riscoprire la tradizione

Fare piangere è meno difficile che far ridere. Per questo, teatralmente parlando, preferisco il genere farsesco. Sono sicuro che il dramma della nostra vita, di solito, si nasconde nel convulso di una risata, provocata da un’azione qualsiasi che a noi è parsa comica. Sono convinto che spesso nelle lacrime di una gioia si celino quelle del dolore. Allora la tragedia nasce e la farsa, la bella farsa, si compie”. (Peppino De Filippo)

E’ andato magistralmente in scena dal 16 al 27 novembre 2022 al Teatro Sala Umberto di Roma, cuore pulsante della capitale che custodisce ancora i fasti di un’epoca lontana, lo spettacolo A che servono questi Quattrini (drammaturgia di Armando Curcio, scene Luigi Ferrigno, costumi Ortensia De Francesco, luci Antonio Molinaro, coproduzione La Pirandelliana e con regia di Andrea Renzi.) In scena gli attori Nello Mascia, Valerio Santoro, Salvatore Caruso, Loredana Giordano, Fabrizio La Marca e Ivano Schiavi.

Siamo alla fine degli anni 30, l’Italia di lì a poco sarebbe entrata nel conflitto della Seconda Guerra Mondiale e il mondo post-capitalistico dell’alta finanza era di là da venire ma l’argomento suscitò la curiosità del pubblico. Nel 1942 la commedia venne trasposta sugli schermi cinematografici per la regia di Esodo Pratelli con Eduardo, Peppino De Filippo, Clelia Matania e Paolo Stoppa; drammaturgia di Armando Curcio. Lo spettacolo ebbe grande successo di pubblico.

La storia si snoda intorno alle vicende del Marchese Parascandolo detto “il Professore” (interpretato da Nello Mascia) che, per dimostrare le sue teorie socratiche, bizzarre e controcorrente, ordisce un piano comicamente paradossale che svela l’inutilità del possesso del denaro. Il piano si articola attraverso dialoghi esilaranti e culmina con un brechtiano momento di riflessione a proscenio. Gli attori, durante tutto lo spettacolo, di certo non rinunciano ad esibire le più armoniose tecniche di recitazione.

A che servono questi quattrini venera la tradizione della commedia classica napoletana alternando momenti di comicità ad altri in cui sono presenti sagge e amare riflessioni sul valore del denaro e dell’esistenza umana. L’ astuto professore Parascandolo altro non è che un conoscitore della vita, capace di ingannare, con scaltrezza, chi dal denaro è stato esageratamente ammaliato. Valerio Santoro è un ingenuo e comicissimo Vincenzino che si crogiola nel suo sogno mai realizzato di congiungersi con l’adorata consorte Rachelina (Loredana Giordano), interessata solo a sposare un buon partito. I due protagonisti maschili compongono un simpatico duetto mentre il personaggio di Michele (interpretato da Fabrizio La Marca) sembra quasi il “munaciello” di questa assurda baruffa che ha rubato i soldi tanto ambiti per inseguire il sogno di una vita mondana.

Estremamente interessante il personaggio della zia Luisa, interpretato da Ivano Schiavi dove vivono sia la sperimentazione dei corpi e la metamorfosi della sessualità (messa in pratica dagli anni 70 grazie a personalità artistiche come Paolo Poli) che la sapiente tradizione della zitella napoletana, custode della saggezza popolare.

Tra sketch comici e accenni di varietà la scenografia ci sorprende con una divisione in più piani mentre la regia interessante e la maestria degli attori nei movimenti scenici celebra quella classicità tanto ricercata tutt’oggi. Il teatro vive e pullula di tradizioni, è grazie a spettacoli come questi che i giovani attori possono sentire l’essenza dell’arte.