A’mbasciata. Intervista a Gianmarco Sannino. Dai mobili della nonna, un progetto virtuoso

A’mbasciata a Napoli un luogo di memoria e cultura che vale la pena di essere conosciuto e frequentato.

Napoli è diventata un marchio di fabbrica, meta di turismo globalizzata che si muove fra tradizione e moda. In città puoi ancora trovare la piccola bottega d’artigianato, il negozio d’antiquariato oppure la libreria di testi usati accanto all’ultimo fast food in stile americano o all’ultimo bar che offre spritz a poco.
Questa mescolanza di esperienze, più tradizionali e tipiche accanto ai marchi più diffusi al mondo la rende oggi una città ibrida dove riuscire a proporre cultura, e proporla in modo diverso,  senza cedere al facile business sembra essere più complicato. Ancora più complicato diventa il compito se pensiamo a quanta burocrazia inutile vige oggi in Italia e soprattutto quanto le istituzioni ignorino (o quasi) i progetti giovani.
L’obiettivo delle mie interviste come ormai saprete è quello di dare voce ai giovani contemporanei che al sud stanno cercando di emergere con la cultura e di fare la differenza. Tra i gioiellini napoletani c’è un luogo della memoria, del sogno e dell’accoglienza che ti dice “casa” non appena vi entri. Si chiama A’mbasciata ed è di fatto una casa gestita da un’associazione omonima che organizza eventi culturali, feste a tema e altro nel cuore pulsante della città, in via Benedetto Croce, fra Santa Chiara e Piazza San Domenico Maggiore. Ho incontrato il fondatore dell’associazione, Gianmarco Sannino, che sta dando vita al suo sogno.

Gianmarco mi accoglie nel salone dell’appartamento situato in questo antico palazzo arredato con mobili antichi, quadri di pittori contemporanei, oggetti vintage ed è subito un viaggio nel tempo. 

A'mbasciata
Ph. Antonio Battiniello

 

Come è iniziata la storia dell’A’mbasciata?

È successo tutto un po’ per caso, con mio fratello, senza che vi fosse un progetto alla base e tantomeno dei fondi. Siamo entrati qui nel 2016 perché in cerca di un posto dove mettere i mobili dei nostri nonni che se n’erano andati da poco. Questa grande casa, infatti, era tenuta come deposito e lo è stata per quarant’anni. È rimasta abbandonata per quasi un secolo, senza manutenzione, le finestre erano bruciate dal tempo con animali e piante che l’attraversavano e poi c’era una moquette che era stata applicata negli anni settanta con una colla a cemento su tutti i pavimenti storici. Entrando mi è cambiata la visione di tutto, quello che mi ha colpito era il fatto che si trovasse in un posto incredibile come via Benedetto Croce, in pieno centro storico. Io in particolare ho lasciato tutto per dedicarmi a questo progetto, da quando sono entrato qui mi è cambiata la vita. Sia io che mio fratello studiavamo all’Università, Ingegneria, avevamo aperto un’impresa edile e quindi eravamo proiettati verso un futuro diverso.
È ancora un progetto in divenire. All’epoca non avevamo un nome, non c’era una progettualità, ma solo lo spirito di riqualificare un posto che ci piaceva.

A chi appartiene il palazzo? Il Comune se n’è mai occupato?

No, il palazzo è di un privato, di una famiglia ducale che lo possiede da più di 200 anni. Questa era un’eredità lasciata un po’ a se stessa, senza che nessuno se ne prendesse cura. Spazi del genere a Napoli non venivano pensati per altre destinazioni d’uso. Appena entrati abbiamo fatto il cambio di destinazione, abbiamo firmato un contratto con i proprietari e abbiamo iniziato a ospitare eventi. Tuttora il Comune non c’entra nulla. Tutto quello che facciamo o abbiamo fatto non è mai avvenuto grazie al favore di qualcuno.
Noi ci siamo presi questo posto perché era troppo bello per lasciarlo a se stesso e così abbiamo cominciato a proporre iniziative ma niente più che delle feste con amici, inizialmente.

Pensa che il primo evento che poi è diventato il nostro anniversario è stato il 31 ottobre 2016, eravamo entrati il 28 o 29 settembre e in un mese scarso abbiamo pulito tutto e lo abbiamo assemblato per ospitare una festa di Halloween, dato che la location si prestava bene a questo genere di evento.

A'mbasciata
Ph. Antonio Battiniello

Come si è sparsa la voce?

Fin dal primo momento la mossa vincente è stato il passaparola, è sempre stato un progetto borderline, di riqualificazione. Non esiste un modello simile a questo, tutte le persone che sono passate di qui, anche quelle che vengono da grandi città, quelle più innovative sul piano culturale e underground, dicono che si tratta di un progetto unico nel suo genere.
Non è alla portata di tutti, anche per il semplice fatto che l’accesso non è direttamente sulla strada. Siamo in un luogo che deve essere cercato, trovato, scoperto e proprio sfruttando questa limitazione ci siamo limitati ancora di più chiudendo anche la porta in un palazzo, tra l’altro, molto frequentato. Abbiamo deciso di tenere la porta chiusa per limitare ancora di più l’ingresso delle persone e fare una selezione naturale. La persona che bussa alla porta chiedendo di entrare è già diversa nel modo di porsi rispetto a tutti quelli che passano e basta. Il curioso entra, chiede, fa più domande, vuole scoprire di che si tratta e magari si fa socio. Una volta associati si fa parte del progetto, si viene informati di tutto quello che succede, si viene a sapere tutto quello che facciamo. Ci sono eventi dedicati solo ai soci, quindi mandiamo un messaggio di invito privato e si possono portare amici. È tutto un passaparola, questa è la nostra principale “strategia di comunicazione”. Ci contattano persone anche da altri paesi e non perché ci seguano sui social.

Il passaparola è sicuramente un mezzo originale in un periodo storico in cui passa tutto dai social e anzi, sembra che se non sei lì non esisti davvero. Qual è il vostro rapporto con questi mezzi?

 Noi siamo partiti come ti dicevo con il semplice passaparola tra amici, poi la cosa è sfociata nella noia, perché per quante feste a tema vuoi fare dopo un po’ senza una progettualità anche i tuoi amici non vengono sempre a trovarti. Così abbiamo capito che dovevamo insomma coinvolgere anche persone sconosciute, farle appassionare all’idea. Quindi in effetti ci siamo serviti dei social per fare ciò.  Poi abbiamo organizzato degli eventi “secret” con persone selezionate, in cui dicevamo solo due ore prima chi sarebbe stato l’artista ospite.

A'mbasciata
Ph. Antonio Battiniello

Come avete gestito il restauro del luogo da un punto di vista economico?

Questo progetto è stato un all-in per me e mio fratello, abbiamo investito tutti i nostri risparmi, ci siamo giocati tutto in quest’idea per capire se poteva essere una cosa che funzionava.
Abbiamo permesso ai turisti di vedere come si fa un lavoro di restauro. Insomma abbiamo fatto di necessità, virtù.

Rispetto alle serate come eravate organizzati?

Noi non abbiamo chiesto mai soldi a nessuno, al massimo chiedevamo un’offerta. Con il tempo abbiamo riservato la gratuità ai nostri soci, che pagano una quota annuale, e poi con il tempo abbiamo definito meglio ogni cosa.
Poco alla volta hanno iniziato a conoscerci tutti. Dalle prime feste quindi di 400 persone siamo passati di colpo a 30 persone a festa e questo all’inizio ci dispiaceva.
Allora siamo scesi in strada e abbiamo invitato le persone, andavamo in giro con i super liquidator pieni di Aperol spritz indossando parei, ciabatte e occhiali da sole, accessori forniti da un’azienda di prosecco che all’epoca ci sponsorizzava.
Radunavamo tutti senza dire dove eravamo diretti, la gente impazziva ed era colpita. Li incuriosivamo, senza dire espressamente “vieni all’Ambasciata”.

Ph. Antonio Battiniello

Come ci siete arrivati al nome A’mbasciata?

Per il concetto del passaparola che c’è alla base, dopo aver fondato l’associazione dovevamo pensare a un nome efficace, il palazzo è stato un’Ambasciata veneziana frequentata da personaggi illustri e questo dove siamo ora era il salone delle feste. Così abbiamo pensato fosse il caso di fare qualcosa che fosse storico, siamo passati da vari nomi finché A’mbasciata è venuto fuori da sé praticamente, proprio unendo il significato del termine napoletanto: “t’aggia fa na mmasciata”, “Ti devo dire un fatto” con la destinazione storica del luogo. Doveva essere una parola che fosse comprensibile anche per gli stranieri, infatti inizialmente era proprio “Ammasciata”, termine puramente napoletano e poi l’abbiamo un po’ italianizzata anche per fare il gioco di parole con la sua destinazione d’uso originaria. Quindi A’mbasciata

Il nostro logo rappresenta proprio questo concetto, un volto con una mano e infatti noi ospitiamo tutte le persone che devono dirci qualcosa, proporci idee, stringere collaborazioni ecc. Qui si possono organizzare laboratori, corsi, angoli di formazione o eventi di vario genere da presentazioni a spettacoli teatrali, esposizioni d’arte e tutto quello che si può fare in un luogo multiforme.

Quando hanno iniziato a notarvi? Dalle feste private come siete arrivati poi a delle collaborazioni professionali?

In cinque anni abbiamo fatto diverse cose e stretto diverse collaborazioni, anche cose pazze, dalle sfilate di moda per Gatta cenerentola con la Mad Entertainment con i doppiatori e i registi, fino al concerto o la mostra d’arte o di fumetto come la Dylan Dog Experience organizzata con il Comicon.
Lo spazio poi è diventato “instagrammabile”, e le immagini dell’A’mbasciata si sono diffuse molto sui social.

A'mbasciata
Ph. Antonio Battiniello

Tutti i mobili e gli oggetti vintage che vediamo qui sono appartenuti ai tuoi nonni?

I pezzi più belli sì, poi poco alla volta abbiamo recuperato alcuni pezzi anche dalle case di altre persone, raccogliendo oggetti vintage appartenuti ad altre persone che per qualsivoglia motivo li cedono, banalmente anche per trovargli una collocazione se non hanno più spazio in casa…

…Quindi c’è anche un riuso intelligente di questi mobili… 

Sì e poi tantissime persone vengono da noi dicendo che devono lasciare casa dei nonni e quindi devono svuotarla ma non vogliono buttare i mobili che sono appartenuti a una vita e così si rivolgono a noi per dargli nuova vita e trovare in questo luogo uno spazio dove ritrovare gli oggetti del passato legati ai propri cari.  Diamo una nuova vita a dei mobili che già ne hanno avuta una, per esempio la libreria di mia nonna che ho messo qui mi fa pensare a lei, me la ricorda, così in qualche modo mia nonna ci sarà sempre.
Allora se consideri le tante anime che possono avere questi mobili grazie alle singole storie che li riguardano, stai creando un’atmosfera perché senti casa, senti tante case, quindi tante energie. Per la creazione dell’atmosfera c’è voluto tanto tempo.

A'mbasciata
Ph. Antonio Battiniello

Il concept del riuso e della nostalgia è arrivato dopo oppure faceva parte di questo progetto fin dall’inizio?

Quello c’era fin dall’inizio, partiva tutto da lì,  mio padre era preoccupato che potessero rompersi i mobili durante le feste che organizzavamo ma io credo che le cose si debbano rompere, se le riesci a riparare ben venga ma se così non è allora finalmente le puoi buttare perché davvero inutilizzabili, almeno avranno vissuto.

Infatti, gli oggetti ci sopravvivono, sempre meglio usarli il più possibile…

…sì almeno avranno vissuto in altro modo, pensa a tutti quei bicchierini conservati nelle credenze delle nonne e tenuti lì come reliquie senza poter essere utilizzati, credo invece che bere un whisky in un bicchiere particolare di cristallo abbia un altro gusto, un altro sapore. Stai bevendo da un bicchierino che ha 80 anni che se si rompe è finita, non lo ritrovi altrove.

Una cosa che si riconosce fin dal primo momento che si varca la soglia dell’A’mbasciata è il fatto che si viene travolti da un effetto nostalgia. Questa è una fase della storia contemporanea in cui si tende a guardare indietro, un luogo come questo in un periodo storico come quello che stiamo vivendo è necessario per tornare in contatto con le cose che contano, per recuperare qualcosa della nostra identità, di ciò che siamo stati e forse proprio per questo piace…

 

Com’è stata la risposta del quartiere a l’A’mbasciata?

Nel tempo abbiamo visto che le cose le facevamo nel modo giusto, capivamo subito quando sbagliavamo e allo stesso modo quando facevamo bene e questo perché c’era una reazione immediata del quartiere, delle persone che si affacciavano qui. Il quartiere è il primo referente di quello che si fa.
Fin dal primo momento ci sono state attività commerciali situate vicino a noi che ci hanno supportato, cartolerie, salumerie e altri negozi. Ci hanno anche proposto di esporre i loro prodotti ma sono molto restio a fare mercatini o boutique per sponsorizzare altri negozianti, possiamo girarla ad evento oppure ti do lo spazio per fare degli shooting, ma mettere semplicemente la vetrina per pubblicizzare i tuoi prodotti, no.

A'mbasciata
Ph. Antonio Battiniello

Le richieste di collaborazione e/o di ospitalità per progetti di varia natura nel tempo, come ci racconti, sono aumentate sempre di più, hai dovuto dire qualche No?

Allora chi mi conosce bene sa che non dico mai di No, cerco sempre di accontentare tutti. In questo periodo sono sommerso da richieste di feste private, che personalmente non preferisco fare, ma sono anche fonte di sostentamento. Perché gli eventi sono sempre gratuiti, quindi con il tempo ho capito quale poteva essere la formula migliore, ossia fare un certo numero di feste private che andassero a sostenere gli eventi gratuiti e artistici che a loro volta fanno conoscere la struttura e il nostro progetto.

Con quali altre associazioni o realtà simili siete venuti in contatto e vi hanno fatto proposte di collaborazione?

Scuola di cinema di Napoli, Ciaopeople, Casa Surace. Tante aziende di moda napoletane ci hanno scelto per gli shooting, per esempio di recente abbiamo ospitato lo shooting per caffè Motta con Stefano De Martino e Tosca D’Aquino e hanno girato qui lo spot pubblicitario.

Tutte le collaborazioni funzionano sulla base di uno scambio? 

Sì, ovviamente tutte le cose che impegnano struttura e personale in cui siamo noi a dare un servizio ovviamente sono a pagamento.
Abbiamo però anche due artisti che ospitiamo gratuitamente da cinque anni, è il nostro baratto, tu hai uno spazio sempre a disposizione, una vetrina e una volta all’anno ci doni un’opera.
I quadri che vedi sono tutti stati realizzati qui da noi, fra questi ci sono dipinti di Vittorio Valiante su nostre commissioni. Ovviamente lasciamo all’artista carta bianca per fare quello che vuole. All’inizio cercavamo di portare qui da noi tutti gli artisti di strada, organizzavamo la notte bianca e per esempio in ogni stanza succedeva una cosa diversa.

Ph. Antonio Battiniello

 

Come avete affrontato la pandemia?

Ovviamente l’ultimo anno e mezzo ci ha ucciso, abbiamo ripreso a fare associati da settembre, ottobre più o meno. A settembre 2020 avevo pensato perfino di togliere tutto, portare i mobili altrove, cambiare struttura. Le spese erano tante, però dopo maggio 2020 abbiamo fatto tanti shooting e servizi pubblicitari che ci sostenevano ed erano concessi anche in zona arancione e così abbiamo ammortizzato le spese. Il 2020 doveva essere proprio il nostro anno.

Cosa possiamo fare noi che non siamo un’associazione per aiutarvi a sostenere un posto di questo tipo? 

In realtà quello che ho sempre cercato e continuo a cercare sono le persone che hanno voglia di fare qualcosa. Per qualsiasi progetto ovviamente servono i soldi ma è l’unica cosa che io non vado mai a cercare da nessuno. Autoprodursi e autoproporsi, questo è il concetto e l’A’mbasciata è il luogo adatto per proporre un’idea e svilupparla nel modo giusto.
Non devo essere io che ti offro lo spazio a spingerti nella direzione, altrimenti i progetti me li seguirei da solo. Vorrei persone che sentano lo spazio anche come casa loro. Io ti ospito e tu ti occupi della gestione della comunicazione e dell’organizzazione.

Quindi se arrivano progetti strutturati che si aprono anche agli stimoli di un luogo del genere, progetti che magari diventano dei format sono più interessato a stringere una collaborazione.

Ci piace aprire l’A’mbasciata a settori più ampi.

A'mbasciata
Ph. Antonio Battiniello

Quindi siamo nella dimensione della factory? Un polo che dialoghi sul territorio e che dia possibilità ad artisti che altrove a Napoli non troverebbero spazio…

 …Perché a Napoli non si trovano spazi liberi di questo tipo, oppure li trovi anche ma nei centri sociali, nei luoghi occupati, e alla fine sei sempre in un luogo occupato in cui non puoi proporre delle cose sofisticate e interessanti, resta una cosa fine a se stessa.

…Forse dipende dal fatto che alcuni spazi sono collocati in un certo modo dal punto di vista politico e sociale, hanno un’identità così forte e radicata che va da sé che certe cose non ci possano entrare.

 …Noi siamo al centro storico, nel cuore pulsante della città, in un palazzo storico altrettanto importante è ovvio che non posso proporre cose “banali”. C’è sempre una ricerca del nostro programma artistico. Seguiamo un po’ il concetto del poco ma buono, che abbia alla base una ricerca e un’atmosfera di comfort. Entrano tutti con la stessa idea, quella della curiosità, hanno tante domande, tante cose da dire ed è proprio la condivisione a dare all’A’mbasciata questa energia.

Proprio negli ultimi tempi c’è stata una polemica sulla questione dell’uso dello spazio pubblico a Napoli, lo scrittore Alessio Forgione ha scritto un pezzo al riguardo sul Corriere del Mezzogiorno evidenziando il fatto che la cultura non trova molto spazio a Napoli, mentre saltano fuori pizzerie e spritzerie come se non ci fosse un domani. Il che è assurdo se si pensa alla storia e alla cultura che hanno reso grande questa città. Vorrei un tuo pensiero su questa cosa… 

I nostri sono valori napoletani che devono essere tramandati, ciascuno può farlo a proprio modo ma commercializzare uno spazio senz’altro va a discapito di progetti e proposte culturali che potrebbero nascere. Per esempio noi non veniamo concepiti come un posto dove si mangia e si beve a volontà, se si beve, il bere qui rientra nella convivialità e nell’esperienza culturale che offriamo ma naturalmente siamo diversi dagli altri bar a Napoli. Noi vogliamo essere conosciuti per le cose che proponiamo, per le cose che facciamo vedere, quindi una persona che viene qui viene per un’esperienza culturale, né per bere né per mangiare.

A'mbasciata
Ph. Antonio Battiniello

…la vostra unicità è sicuramente bella ma perché secondo te non si è creata una rete di spazi come il vostro?

Perché la maggior parte delle attività è puramente commerciale, si basa su un business, più vendono e meglio è, per cui si fanno concorrenza tra di loro. Noi in realtà non abbiamo una concorrenza, c’è un’associazione di fronte a noi che fa cose simili ma io non mi sento assolutamente in concorrenza, io non tolgo niente a loro e loro non tolgono niente a me. Da noi si viene per un certo tipo di atmosfera, di calma e di accoglienza che altrove non troveresti.

Questa cosa è molto bella soprattutto se pensi che in questo periodo si aprono e si chiudono locali in continuazione, non si può mai davvero fare affidamento su un luogo e sentirlo come casa, salvo alcune eccezioni.

L’ultima riflessione che ti chiedo è sui noi giovani trentenni che in questa fascia di età siamo in difficoltà, come se la nostra età fosse un handicap. Siamo in un limbo, non siamo più giovanissimi ma neanche così maturi da definirci adulti finiti, e sembra che collocarci e trovare una posizione nel mondo oggi sia diventato più complicato. Ci hanno educati a un mondo che poi non ci hanno consegnato. Per altro nessuno ci viene davvero a chiedere che ne pensiamo e come stiamo.

Secondo me tutti i progetti devono avere una determinazione che prescinde dal riuscirci o non riuscirci. Penso sempre che sia meglio provarci e fallire piuttosto che accontentarsi del proprio angolo e portare un risultato. È facile fare le solite cose che fanno tutti, magari seguendo un business, puoi fare il panino più buono ma non sei unico. Il difficile è proprio creare progetti in una città che ti offre la possibilità di fare cose diverse perché è essa stessa diversa e con una sua unicità. Creare dei progetti diversi dove tu prendi le persone nella pancia, nelle emozioni e le trascini con quelle stesse emozioni è quella la cosa difficile perché non sei pagato per farlo e perché questa cosa non ha prezzo.
Il sorriso di una persona che ti dice “grazie” dopo essere stato qui non si può quantificare.
Molte persone vengono da noi per festeggiare anniversari, feste di compleanno o anche matrimoni, qui ci si incontra, si condividono cose e ci può anche innamorare.

Devi capire fino a che punto riesci a spingerti, sicuramente io fatico molto per portare avanti questo progetto, ho altri quattro lavori e lavoro h24 a quest’idea. Sono sempre qui. Serve sicuramente tantissimo sacrificio in una città e in un Paese che ti fanno sacrificare gli anni belli e le cose belle della tua vita.

Però quando vedi che quello che fai lo stai facendo con piacere, ne ricavi molta più soddisfazione di qualsiasi ritorno economico.
Per fare un progetto qui a Napoli ci vogliono costanza e sacrificio. Anche l’età è importante.

Saper parlare con persone di tutte le età, dando del tu a tutti e mettendoci sullo stesso piano, mi ha formato e mi ha permesso di essere pronto a tutto e questo è fondamentale in una città come Napoli. Secondo me se vuoi restare in questa città devi sapere tutto ciò ma dovresti anche essere agevolato di più da qualcuno che possa concretamente aiutarti, dalle istituzioni per esempio. Io sono stato fortunato perché ho mio fratello che è la mia spalla, ma siamo da soli nel nostro progetto.

A’mbasciata

Come affronti i momenti di scoramento?

Offrendo tutto me stesso a questo posto, quando sono giù di corda mi metto a fare qualcosa di pratico, sfogo tutto nel bricolage, il fai da te, tutte le cose che possono contribuire alla decorazione e all’arredamento dell’A’mbasciata.

Vado alla ricerca di mobili da aggiungere, provo a ricreare altre atmosfere, nuove stanze. Le cose che si devono affrontare, cerco di affrontarle fin da subito. Le cose invece che non si risolvono facilmente e che forse mai si risolveranno cerco di farmele andare bene trovando il modo giusto di sopportarle e di conviverci.

Spero che il progetto possa essere visto come un modello, ma non per essere ricopiati, ma come stimolo per fare qualcosa di analogo, come gli hub culturali di cui Milano è piena e che potrebbero essere una buona cosa per Napoli. Il mio sogno è quello di realizzare un hub dove tu puoi mangiare, bere, dormire, lavorare e condividere cose.

La mia piacevole conversazione con Gianmarco si chiude con questa speranza, che luoghi di aggregazione culturale, hub e associazioni come l’A’mbasciata possano nascere e crescere copiosi a Napoli, una città che non può e non deve ridursi a un’accozzaglia di pizzerie e spritzerie.
Quando il lavoro e l’impegno di più persone si unisce possono venire fuori esperienze belle com’è stata quest’intervista e se avete potuto accostarvi al mondo evocativo dell’A’mbasciata, sia pure attraverso le immagini, è stato grazie agli scatti di Antonio Battiniello, altro esempio di trentenne napoletano che si impegna nell’arte e nella cultura a Napoli.