Una delicata seduta psicologica dalla quale non si sfugge dal guardarsi internamente, sentendosene coinvolti sia in vesti di pazienti che di analisti, così si potrebbe introdurre il romanzo di Levante “E questo cuore non mente”, edito Rizzoli, uscito nel mese di giugno. La cantautrice, precedentemente scrittrice di “Se non ti vedo non esisti”, e di “Questa è l’ultima volta che ti dimentico”, è ora fuori con il sequel del primo.
Anita, giornalista in carriera, è la protagonista della storia, una donna immensamente gratificata dalla carriera e tanto insoddisfatta in amore. Frequentemente è incorsa, arrancando in punta di piedi, su “un filo d’erba secca”, che non è altro che il modo in cui è solita definirsi, in bilico fra l’esuberanza sentimentale e l’esasperazione. A tenderle la mano, per non farla cadere definitivamente in un assillante abisso di interrogativi, è il suo terapista Ferruccio.
Una lista di relazioni tossiche finite senza spiegazioni ragionevoli, come quella con Marco, non le lascia tregua. I ricordi vengono evocati attraverso flashback a riapertura di capitoli di vita che non si sono chiusi del tutto, costringendola a cercare la natura dei suoi dissidi interiori altrove.
L’aver subito un distacco atroce dal padre, scomparso prematuramente, è sicuramente un punto da cui partire. L’esperienza della morte le ha tolto l’innocenza di una bambina e da allora, scontrandosi con il mondo degli adulti, è rimasta nel limbo, dimostrando di non essere né abbastanza grande né propriamente piccola.
L’attesa evoluzione risolutiva, in quanto tale, richiede tempo. Solo sul finale la presa di coscienza di una possibile via di fuga da una condizione di sospensione mentale la tenterà più di qualsiasi vizio, e chissà che per vederla camminare a testa alta con nuove sicurezze non si debba aspettare un ulteriore libro. Le parole conclusive non hanno l’aria di favorire il compimento di un percorso, ma piuttosto il desiderio di un miglioramento che si sta avvicinando sempre più.
La penna minuziosa di Levante riesce a padroneggiare a menadito le più intricate fragilità umane, attingendo da un bagaglio personale che non viene mai lasciato al caso. Nel leggere il racconto si avverte sedimentare dentro di sé un forte anelito di rinascita, che fa da scudo alla più semplice scelta di buttarsi a capofitto in un abbandono deleterio.
Crescere assieme ad Anita è una missione da cui non si prescinde. A ogni suo passo falso ci si mette in discussione con lei, portando sulle spalle il carico di una suscettibilità espressa a pieni termini con un linguaggio che si scosta dall’usuale banalità, prediligendo ricami sintattici ammirevoli.
Immergendosi fra la ricercatezza appassionante delle descrizioni, si ritrovano alcuni riferimenti alle canzoni del più recente album musicale dell’artista “Magmamemoria”. I due lavori per certi versi convergono in un’unica leale ricostruzione di frammenti episodici di un cuore vivo e veritiero.