Il dipinto che raffigura Arianna che porge a Teseo il filo per uscire dal labirinto, che ritroviamo tra quelli delle collezioni Comunali d’Arte di Bologna, attualmente conservato a Palazzo d’Accursio, sito nel Palazzo Comunale di Piazza Maggiore, fornisce lo spunto per capire l’origine dell’accezione “Piantare in asso” che deriverebbe dalla corruzione linguistica dell’originaria espressione “Piantare in Nasso”. Le radici di questo detto affondando infatti proprio nella mitologia greca e ci riconducono ad Arianna.
Nella mitologia greca si narra che sull’isola di Creta c’era un mostro, il Minotauro, con il corpo metà uomo e metà toro. Viveva in un labirinto, e ogni anno Atene mandava come tributo a Minosse sette fanciulli e settefanciulle da dare in pasto al terribile essere. Un giorno arrivò Teseo, il figlio del re di Atene, con l’intenzione di affrontare il Minotauro. Arianna, figlia di Minosse, re di Creta, si innamorò del giovane, e decise di aiutarlo, dandogli un gomitolo di filo da portare con sé nel labirinto.
Teseo uccise il mostro e seguendo il filo di Arianna ritrovò l’uscita, salvando se stesso e liberando Atene dal tributo dovuto a Creta. Arianna fuggì con Teseo verso Atene; ma giunti sull’isola di Nasso, lei si addormentò e al suo risveglio non trovò più Teseo, che era fuggito. Per Arianna fu un dolore insopportabile, pianse e scrisse una lettera straziante, lamentando la sua perfidia ed irriconoscenza.
Un giorno Dioniso, Dio del vino e della fertilità, incontrò sull’isola la disperata Arianna e se ne innamorò perdutamente. La sposò e la condusse sull’Olimpo donandole l’immortalità.