BIP” al Cometa Off: la recensione

 

di Alessandra Antonazzo

 

 

In scena il 2 e 3 marzo al Cometa Off, “BIP” è uno spettacolo scritto da due donne (e che donne!) sulla complicità al femminile. Anna Malvaso e Silvia Maria Vitale, autrici del testo e protagoniste in scena, ci raccontano una vicenda che ha del surreale con una naturalezza e una maestria davanti alle quali lo spettatore non può far altro che applaudire e ancora applaudire. A sostenere la bravura degli interpreti, l’attenta regia di Massimiliano Vado che, reduce da grandi successi sempre in veste di regista con “Figlie di E.V.A” e “La strategia del Colibrì”, si fa complice, ideatore e artefice di uno spettacolo scattante, giovane, esilarante, sincero.

La vicenda si svolge in un negozio di calze e vede protagoniste una commessa (la bravissima Anna Malvaso) e una rapinatrice improvvisata (la strepitosa Silvia Maria Vitale).  La prima, aria svampita e testa fra le nuvole, ha il cuore in pezzi. Follemente innamorata di uomo sposato, tutta presa a controllare che lui le abbia scritto sul cellulare, sembra non curarsi della goffa irruzione della seconda che si presenta in scena, pistola in pugno, indossando un’improbabile maschera da barboncino.

A orientare il pubblico, una scenografia pulita. Una radio e un telefono sul bancone accanto alla cassa saranno gli unici contatti che le due protagoniste avranno con l’esterno, fatta eccezione per l’ingresso di un terzo, fondamentale personaggio. L’impianto scenografico riserva inoltre una piccola sorpresa agli spettatori che, alzando lo sguardo, potranno notare manichini calarsi dal soffitto. Gambe colorate e sospese, quasi in corsa, forse in fuga, a delineare il ritmo rapido e incalzante della vicenda.

La cassiera, tutta presa dai suoi pensieri, non teme minimamente la rapinatrice che ben presto sveste i panni di delinquente fai-da-te per calarsi in quelli di amica e complice. Le due prendono quindi a confrontarsi in un susseguirsi di diverti sketch grazie ai quali il pubblico viene a conoscenza della frequentissima (e temibile) “sindrome della borsetta in saldo” che ha portato tutti noi almeno una volta nella vita a rincorrere qualcosa (o qualcuno) che in fondo sappiamo non desiderare affatto. E così tra canzoni anni Novanta intonate a squarciagola, confidenze al femminile e qualche tiro d’erba, la pièce affronta tutti i luoghi comuni sul tradimento, sugli uomini e sull’amore con piglio originale, linguaggio giovane e un’immancabile, frizzante cadenza romana.

Sarà un’impellente fame chimica a spingere le due donne, ormai non più ostaggio e criminale bensì complici, ad abbassare le difese chiedendo alla Polizia junk food d’asporto, consentendo così alla realtà esterna di penetrare in quel loro neonato microcosmo fatto di differenze appianate e fragilità condivise.

Interverrà proprio un uomo, giovane poliziotto insoddisfatto che da bambino voleva fare il prestigiatore, a ribaltare i ruoli imposti e sconvolgere gli equilibri faticosamente costruiti dalle due donne. Daniele Di Martino, splendido nei panni dell’agente sotto copertura a sua volta preso in ostaggio, consentirà alle due protagoniste di riordinare i fili di una trama che solo all’ultimo si srotolerà veloce agli occhi del pubblico lasciandolo, dopo oltre un’ora di risate ininterrotte, con un peso sul petto.

Il finale dalle tinte noir, forse lievemente pilotato dalla necessità che tutto sulla scena risponda a un perché, è magistralmente interpretato dai protagonisti e cade come un macigno sul sentire del pubblico. Quanta sofferenza può celarsi in ognuno di noi? Dentro ogni singola, personalissima storia d’amore (e non amore), le cui più intime verità sono note solo a chi ne prende parte quotidianamente?

Uno spettacolo esilarante, a tratti folle, privo di regole, portato in scena da giovani interpreti (allievi del Laboratorio di Arti Sceniche di Massimiliano Bruno) che per dimestichezza, doti attoriali e talento sembrerebbero calcare le assi del palcoscenico da una vita. Una commedia ricca di spunti grazie alla quale lo spettatore è portato ad abbandonare ogni freno, lasciarsi andare a una sonora risata e chiedersi, insieme alle due donne tradite: “Perché mai è così difficile amare?”.