La scena si innalza su una verticalità immane, costruita su più piani si articola tra cunicoli, porte, trasparenze, stagliata sul centro una gigantografia: “king lear”.
Un giullare si muove sul proscenio, la sua pantomima sinuosa anticipa l’azione; in scena al Teatro Eliseo di Roma fino al 2 Febbraio, “Re Lear”di William Shakespeare per la regia di Andrea Barracco e la traduzione di Letizia Russo.
Dall’alto l’entrata del re, convocate le figlie le esorta a misurare il loro amore, ad intessere lodi per ottenere l’eredità sperata; sopraelevato al culmine della costruzione scenografica da inizio col suo appello all’originarsi di trame parallele quanto predisposte ad intersecarsi.
Laddove Lear, vecchio senza saggezza, manifesta la sua indignazione dinanzi al disamore delle figlie; Cordelia, penalizzata per l’eccesso di sincerità, ripudiata si strugge.
“Perché mi chiamano bastardo, perché mezzosangue?”– è ora Edmund a subentrare nella scena, figlio illegittimo, desiderio illegittimo delle figlie del re, furbo artefice del sabotaggio rivolto a Edgar suo fratello.
Se il complotto si svela come cifra trasversale dell’intera vicenda, persistente è anche l’idea di una verità come “cane che deve rimanere nel canile”dunque necessariamente ottenebrata dalle dinamiche sotterranee dell’esistenza.
Corpi che brancolano entro un fumo diffuso aprono il secondo atto, emerge il re da quella nube sopraffatto dalla follia: “Il mio cervello tutututù, comincia a capovolgersi”; bofonchia, dilata il timbro a versi inconsueti, dimena la testa canuta sopraffatta dalla tempesta.
E’ l’avvincente interpretazione di Glauco Mauri a colorare per la terza volta il ruolo complesso quanto attuale di un “re detronizzato”, a rendere manifesto il turbamento del suo personaggio attingendo ad una vocalità altisonante, alla “voluta goffaggine” del movimento.
Conseguenza dell’adattamento di Andrea Barracco e Glauco Mauri è, sul finire l’azione decisiva di Gloucester (Sturno) che, pronunciando il monologo di Amleto, conduce la vicenda ad un ulteriore livello interpretativo, l’assurdità dell’agire umano, la deformazione del reale che si discosta da ogni logica, talmente vivida da divenire trasversale valicando il confine dell’opera stessa.
Nell’ambito di un’azione scenica che, resa possibile dalla semitrasparenza di un “inner stage” (Marta Crisolini Valeri), si sviluppa sulla simultaneità dei piani; assistiamo ad un continuum dinamico dove la precisione del movimento attoriale si armonizza alla componente sonora (Giacomo Vezzani, Riccardo Vanja) e alle luci (Umile Valeri).
Con Glauco Mauri, Roberto Sturno, Dario Cantarelli, Enzo Curcurù, Linda Gennari, Paolo Lorimer, Francesco Martucci, Laurence Mazzoni, Francesco Sferrazza Papa, Aurora Peres, Emilia Scarpati Fanetti, Aleph Viola