di Alessia De Antoniis
Tratto da “Lettera di una sconosciuta” di Stefan Zweig, questa mise en place è un piccolo gioiello presentato nella cornice calda, intima e accogliente dell’Eliseo Off.
La regista Angela Bandini sceglie di restare fedele al testo originale, e affida il monologo a Stefania Barca, un’attrice che sembra uscita da una tela di Giovanni Boldini.
Leggiadra, appassionata, con due occhi scuri che brillano come quelli di un’adolescente innamorata, Stefania Barca coinvolge il pubblico in sala nella lettura di una lettera d’altri tempi. Una lettera che scrive mentre precipita nel suo destino come in un abisso. Una lettera che, come dice lei stessa, “ti scrivo da morta. Sono già morta”.
Il destinatario è un affascinante romanziere, amante dell’arte, della musica e delle belle donne, che vive nell’Austria cosmopolita di Mahler, Freud, Schnitzler, Klimt, Schiele, Kokoschka.
La protagonista della novella di Zweig è sicuramente anacronistica, ma forse anche per questo suscita emozioni, mentre trascina in un mondo, quello dei primi anni Venti del secolo scorso, che ancora fa da scenario al romanticismo, alla femminilità, all’illusione degli amorosi sensi.
Eppure, nel suo essere datata, relegata ad un mondo ormai svanito nel nulla, lontano nel tempo, questa donna è estremamente attuale.
Al tempo del primo incontro con l’uomo oggetto del suo desiderio, è solo una tredicenne che abita alla porta accanto e che si innamora perdutamente. Un amore adolescenziale, vissuto in silenzio, che sarebbe dovuto finire presto. Invece durerà per tutta la sua vita. Siamo quindi di fronte ad un amore romantico o a un’ossessione? Ecco la domanda che resta. E, in questo senso, ci troviamo davanti ad una donna che esiste anche oggi: senza più cappelli e guanti, ma con le stesse fragilità, con le stesse debolezze. Una donna sola che affronta un uomo egoista, vanesio ed irresponsabile quanto superficiale.
Angela Bandini porta in scena una donna che, accanto al corpo del figlio appena morto, scrive una lunga missiva “a te, che mai mi hai conosciuta”. Dall’altra parte di questo invisibile filo che lega due estranei con un figlio in comune, un uomo al quale è stata negata la possibilità di scegliere se voler diventare padre o meno, da una donna fragile in apparenza, ma così determinata da arrivare a vendere se stessa per mantenere un figlio che lei considera una parte del suo amato.
L’attualità di questa donna risiede nel suo confondere amore, possesso, ossessione, proiezioni. Tutto fuso in una storia che esiste prevalentemente nella sua mente, mentre vive una vita in attesa di essere ri-conosciuta da quell’uomo che l’ha dimenticata dopo poche notti d’amore, sperando invano che qualcun altro riconosca chi si firma “a te che non mi ha mai conosciuta”, che scrive una “lettera da una sconosciuta”.
In questa veste non è diversa da tante donne che ancora oggi si annullano per essere accettate da un uomo; donne prive di una loro identità, in attesa che altri ne diano loro una; donne che trovano il loro ruolo nel rapporto con un uomo che reputano più elevato socialmente, culturalmente o economicamente.
Il monologo in scena all’Eliso Off è una scrittura espressiva, a tratti lirica, interpretata con passione e trasporto, dolcezza e gentilezza, da una donna già morta che scrive all’amore della sua vita: “Tu non chiedesti il mio nome”. Neanche il principe chiede a Cenerentola come si chiama, così come non va a cercarla ma invia un suo “impiegato”. Avrebbe sposato chiunque avesse infilato quella dannata scarpa.
L’affascinante Stefania Barca incarna proprio quel tipo di donna che non dovrebbe esistere, prova quel tipo di amore malato che nessuna donna dovrebbe mai vivere. Eppure restiamo lì, a trepidare per lei, a soffrire insieme a lei, a condividere, anche solo per un’ora, le sue illusioni, le sue speranze, le sue scelte crudeli verso se stessa, verso questo sconosciuto escluso da una parte della sua vita, e verso questo figlio appena morto che giace ancora nella sua stanza.
Come tante cenerentole, sempre lì ad attendere che uno sconosciuto bussi alla nostra porta e ci infili una scarpetta di cristallo, con la speranza che non si frantumi in mille pezzi tagliando con ferite profonde i nostri piedi indifesi, siamo lì in quella stanza, insieme a lei, a vegliare chi non c’è più, a dondolarci su quel cavallo a dondolo, a scrivere ad un fantasma.
Interessante l’idea di non lasciare Stefania Barca sola in scena, ma di farla accompagnare dalla voce maschile fuori campo di Edoardo Siravo. La sua voce calda ci fa entrare ancora di più nella povera mente di questa donna che chiede solo di essere amata. Richiesta difficile da parte di chi non ama se stessa.
Un’ora di teatro piacevole. Da vedere. Replica fino al 31 gennaio.