A cinquant’anni dal massacro del Circeo la compagnia Il Filo d’Aria porta in scena quei drammatici giorni
Massacro del Circeo, tre parole che bastano a far tremare chiunque abbia la minima conoscenza del tema. Anche chi è nato dopo, chi non ha vissuto in diretta quei giorni, ha in testa immagini chiare.
Con quella stessa chiarezza il massacro del Circeo è stato portato sul palco del Teatro Trastevere con Cigno cigno grazie alla compagnia Il Filo d’aria dal 27 al 30 novembre, scritto e diretto da Antonio M. Monaco.

Una rappresentazione per certi versi più funzionale di tante altre operazioni artistiche che nel corso degli anni hanno provato a raccontare la storia di Maria Rosaria Lopez, Donatella Colasanti e dei loro carnefici.
La scelta registica cambia i nomi dei protagonisti, ma i riferimenti sono chiari, ed è da segnalare l’interpretazione di Riccardo Maggiani, che con le espressioni del volto riesce a trasmettere l’ansia e la paura anche agli spettatori. Le immagini che tornano alla mente sono limpide, non c’è niente da inventare, sappiamo tutti cosa abbiamo davanti. Così come sono estremamente realistiche le emozioni portate in scena da Arianna Ferrucci e Giulia Fortuna, tanto più in una drammaturgia che lascia gli aspetti più cruenti all’immaginazione, portando poi sul palco i risvolti psicologici, il dolore. Tranne che in un punto, ben studiato nel complesso dello spettacolo, non vediamo botte o violenze.
Le sentiamo, le conosciamo, ma non le vediamo. Non c’è bisogno, purtroppo, i segni che il male lascia sono scritti sui volti, nelle espressioni delle due vittime.
Tutto si svolge nel salone della casa del Circeo, dove le ragazze arrivano poco meno che spensierate, convinte che ci sia una festa. Le cose peggiorano poco per volta, e sapere in che direzione si sta andando non toglie nulla alla visione dello spettacolo, che in un’ora riesce a riassumere quasi due giorni di violenze e sevizie senza mai dover correre.
Accanto a Maggiani c’è Alessandro Straface, che di quella violenza incarna un altro aspetto, quello del complice forse non sicuro. Non è pena né giustificazione, è un diverso lato del male, sempre in bilico tra il voler dimostrare la propria forza e la consapevolezza di star sbagliando, come se questo bastasse. Ultimo in ordine di apparizione è Edoardo di Giuseppe, vero leader del gruppo. La differenza è palpabile: l’abbigliamento, la parlata, il modo in cui anche la violenza verbale è costruita per apparire altro.
Non è il male vero di Maggiani, non è la banalità del male di Straface. È un altro livello, che cresce e peggiora battuta dopo battuta, che porta ancora più in profondità il dramma delle due ragazze, sino all’epilogo.
Quel che si apprezza è la profondità sociologica che Cigno cigno pone nell’analisi del massacro del Circeo. C’è la violenza, ci sono le urla, i segni psicologici e fisici, ma c’è ampio spazio per un elemento forse troppo spesso messo da parte, il contesto sociale di provenienza di vittime e carnefici.
Non sono solo due ragazze di cui abusare, la prevaricazione dell’uomo sulla donna. Sono povere, borgatare, feccia del mondo, “gente di cui si potrebbe fare a meno” insieme a stranieri, ebrei, omosessuali e tante altre categorie di “inferiori”.
Senza dover essere partitici, senza fare nomi e cognomi, il pensiero è esplicitato. Molto spesso la brutalità del massacro del Circeo, la violenza bruta a cui riconduce il pensiero, mettono in secondo piano il contesto umano e sociale dove è accaduto. In questo Cigno cigno cerca una maggiore onestà intellettuale, provando a dare uno sguardo più ampio all’origine del male, a cosa si cela dietro a chi a vent’anni sa maneggiare un’arma, violentare, uccidere.
Cigno cigno è uno spettacolo duro, cruento, che fa memoria portandoci dentro alla casa del Circeo, non cercando espedienti narrativi meno forti per parlare senza dire. Vuol ricordare, vuol mostrare, vuol capire, non solo prendere un caso di cronaca e farne uno spettacolo teatrale.
Si soffre, si sente lo stomaco chiudersi davanti a tutto quel dolore, e non finisce al momento degli applausi, quando gli attori tornano solo attori. Ma è proprio a questo che serve: ci sono cose che bisogna portarsi addosso, anche fuori dal teatro, farle sedimentare da qualche parte tra la mente e il cuore.

Ricordare, comprendere, conoscere il male, illudersi, almeno, di poterlo anticipare ed evitare.
Per Maria Rosaria Lopez, per Donatella Colasanti.
Per tutte le donne che il male l’hanno dovuto incontrare.
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Cigno cigno – Di Antonio M. Monaco – con Riccardo Maggiani, Edoardo di Giuseppe, Alessandro Straface, Arianna Ferrucci, Giulia Fortuna – Teatro Trastevere dal 27 al 30 novembre 2025




