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Fra Pasolini e Mefistofele

Al Teatro Basilica Pasolini torna sotto forma di figura soprannaturale per ricordarci di ciò che non abbiamo ascoltato

Pier Paolo Pasolini, a cinquant’anni dalla morte.
Pier Paolo Pasolini che torna sotto forma di un diavolo, un tentatore che vuol dimostrare come il non averlo ascoltato abbia portato il mondo sull’orlo della deriva. Un Pasolini diavolo, o forse angelo cattivo, che non è la stessa cosa. Angelo stanco d’esser ignorato, che deve far soffrire per spiegare cosa ci sia di sbagliato. 


Sono queste le premesse di 666.PPP – Quel diavolo di Pasolini, andato in scena al Teatro Basilica l’uno e il due novembre, proprio nei giorni del cinquantesimo anniversario dell’uccisione dell’intellettuale. 

Scritto e diretto da Manfredi Rutelli, la vicenda parte da L’histoire du Soldat, fiaba popolare russa musicata dal Stravinskij Ramus nel 1917 e al quale voleva ispirarsi Pasolini, insieme a Sergio Citti Giulio Paradisi, per la scrittura di un film mai arrivato a compimento. Una storia che a suo modo ha percorso oltre un secolo, fino a diventare, nelle mani di Rutelli, strumento per parlare in contemporanea di Pasolini e dei nostri tempi.

La scena è costruita grazie al lavoro video di Andrea Bisconti. Le immagini proiettate sembrano prender vita tra il palco e il suo fondo, mentre passiamo dal mare alla città, dalla barca allo studio ipertecnologico. E ancora di più il lavoro è encomiabile quando ciò che ci passa davanti non è scena, luogo dell’azione, ma immagine quale immaginazione, concetto quasi astratto reso visibile davanti a noi.

Ariele (Alessandro Waldergan) è un militare in servizio su una piattaforma petrolifera. Ha davanti a sé poche settimane di licenza, sogna la mamma, la fidanzata, gli amici, l’odore di casa. Quando ecco che dal nulla, sulla barca che lo riporta a casa, si manifesta un uomo. C’è qualcosa di strano in lui; nel suo essere, in ciò che dice, in ciò che promette. Un visore a realtà virtuale per aver tutto quel che si vuole, e in cambio solo qualche attimo della vita di Ariele per imparare a suonare il violino. Niente di più, lo promette. 

È questo l’inizio di una vicenda che va molto più in profondità, che ci riporta alla mente i grandi scambi d’anima della storia della Letteratura, primo fra tutti il Faust. E come nei grandi romanzi anche qui il rapporto è quello tra potere e sentimenti, tra ricchezza fisica e ricchezza interiore. Aggravato però dalla critica al mondo moderno, a questa società dominata dall’informazione non come mezzo di conoscenza ma come strumento atto a condizionare le menti. 

A dar vita a questo Pasolini-Diavolo è Gianni Poliziani, che dal palco trasmette la calma e la consapevolezza che ben si addicono al suo personaggio, una naturalezza che fa sentire a proprio agio anche il pubblico, lontana dall’idea comune di diavolo. Non è immediato il riconoscimento del poeta, ma man mano che lo spettacolo va avanti sembra ovvio. Ciò che dice, come lo dice, i riferimenti si fan più chiari, e il risultato è che l’empatia si crei più nei suoi confronti che verso Ariele. Anche se forse, in quanto esseri umani, tutti davanti alla possibilità del potere accarezzeremmo l’idea della scelta sbagliata. Ariele, inoltre, non ha gli strumenti necessari a capire quel che sta facendo: non è mai stato ricco, potente, non sa a cosa va incontro e per questo lo brama, o almeno è ciò che pensa. È un uomo qualunque, e per quanto ci si possa convincere del contrario forse chiunque al suo posto si sarebbe lasciato tentare. 

Ultima dei tre protagonisti è Giulia Canali, che vediamo maggiormente nella seconda metà dello spettacolo. Appare come una sorta di redenzione, strumento di guarigione. Quasi l’angelo di cui Ariele avrebbe avuto bisogno, se non fosse anche lei così umana, e quindi fragile. Versatile più di tutti – in scena indossa i panni di più di un personaggio – per Ariele è chiave di volta, per se stessa è forse anticamera della perdizione. Ma non lo sappiamo, è qualcosa che accade dopo, chissà, quando quel Diavolo di Pasolini avrà da scegliere un altro essere umano davanti al quale palesarsi. 

Una scelta diversa per omaggiare Pasolini a cinquant’anni dalla morte, guardando al suo pensiero prima ancora che alle vicende della sua vita, mischiando la sua persona con la sua opera incompiuta. Forse con due, se si pensa a quella Divina Mimesis in cui si faceva guida – in modo Dantesco – del se stesso giovane, quasi a volersi indicar la via. 

Resta però quel tanto di amarezza nel constatare che sì, c’erano stati nelle sue parole avvertimenti rimasti inascoltati, visioni sul futuro tristemente diventate realtà. Un po’ perché nessuno è profeta in patria, un po’ perché a volte i presagi del domani fan paura, e allora tanto vale dire che no, ci si sbaglia, non è possibile. Quel che resta è provare a rileggere, con gli occhi del dopo, ciò che è stato scritto. 
E vedere se c’è soluzione, o quantomeno consiglio. 

Magari ci si può ancora salvare.

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666.PPP – Quel diavolo di Pasolini dii Manfredi Rutelli – con Gianni Poliziani, Alessandro Waldergan, Giulia Canali e la voce di Diletta Maria D’Ascanio – musiche originali di Riccardo Panfili – elaborazioni video di Andrea Bisconti – luci di Alessandro Martini – una produzione di LST Teatro e TETRAKTIS – Teatro Basilica 1 e 2 novembre 2025

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