“C’è ancora domani, sempre”, dalla cinepresa alle fotografie

La mostra sulle fotografie del film di Paola Cortellesi rincara la dose di resilienza

Novembre è il mese dedicato all’eliminazione della violenza contro le donne, una ricorrenza fissata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Ovviamente l’occasione è il pretesto per ricordarci che non c’è un solo giorno in cui restare inerti davanti a episodi del genere. Il film “C’è ancora domani” uscito nelle sale italiane il 26 ottobre 2023 e poi proiettato in 126 paesi, è l’emblema sbalorditivo del racconto insigne di quanto accade tristemente nella società da secoli. La regia di Paola Cortellesi si è dimostrata una guida competente per farci guardare in faccia la realtà, anche con una crudezza drammatica. 

Paola Cortellesi e Romana Maggiora Vergano

La mano di Ivano Santucci (Valerio Mastandrea) che con frettolosa brutalità assale il volto di una vittima di schiaffi e pugni viene accompagnata dalle note di “Nessuno”, canzone di Mina. Nessuno, ti giuro nessuno, nemmeno il destino ci può separare, riaffiorano le parole usate dall’uomo per trovare una giustificazione ai suoi gesti di odio. Eppure, quel ritornello così allegro vuole stimolare il persistere della speranza nel cambiare le cose, che non vogliamo abbandonare. Da qui nasce un percorso per osservare con interesse tutte le dinamiche che ricostruiscono la storia di Delia (Paola Cortellesi) e la figlia Marcella (Romana Maggiora Vergano).

Alla Casa del Cinema situata nel cuore di Villa Borghese, fino al 1 dicembre 2024 è possibile accedere gratuitamente alla mostra sulle 53 fotografie di scena firmate da Claudio Iannone, il quale si è confermato un maestro nel saper riconoscere i momenti migliori da immortalare, restituendogli spessore e significato. Entrando nella sala Cinecittà si ha subito la sensazione di introdursi nell’abitazione dei protagonisti per assistere all’avvicendarsi delle loro relazioni interpersonali. Ci si arriva dopo aver camminato sulle strade di un cortile vuoto, differentemente dal rione del film in cui si riuniscono le voci delle comari maldicenti. 

Nell’esposizione si respira un’aria nostalgica del dietro le quinte. traccia le fila degli schemi dell’abuso, oggi reiterati sotto vesti più velate nel dare segni di sospetto evidenti a chi li vive, trattandosi magari di manifestazioni verbali e non per forza fisiche. È molto potente la finestra che si apre sul pranzo fra due famiglie agli antipodi e le espressioni di indugio nel mantenere fisso lo sguardo del proprio commensale senza sentirsi inferiori o troppo elevati. 

Gli scatti, rigorosamente in bianco e nero, fanno luce sul processo creativo, dallo sviluppo alla realizzazione finale. Gli attori e la troupe appaiono concentrati durante le riprese, che talvolta hanno bisogno di essere ripetute, un ciak alla volta. Si riflette sulle emozioni trasmesse attraverso l’obiettivo delle camere. Le immagini dei costumi, delle scenografie e degli effetti speciali forniscono una prospettiva unica sulla mole di lavoro nascosta nei fotogrammi.

L’attenzione del visitatore si focalizza sulla ciclicità della produzione audiovisiva, accingendosi a scoprirne oltre l’indiscutibile qualità, il lunghissimo studio del periodo storico attinente alla nascita della Repubblica Italiana, che permise alle donne di votare per la prima volta. Questo aspetto è particolarmente affascinante, poiché spesso il pubblico non si rende conto della quantità di dettagli necessari per ottenere un prodotto di valore, riscontrabile in una dimensione educativa che fa concentrare sulle fasi di realizzazione del cinema, concatenate l’un l’altra. 

La scena finale di C’e ancora domani

L’allestimento manca della ricchezza di didascalie descrittive. Probabilmente se non si è visto il film ci si fa un’idea minima di quanto ogni singola angolatura funga da perno per tenere saldo l’insieme di maestranze che si sono messe all’opera. Invece, con degli approfondimenti scritti si sarebbe colta meglio l’importanza di “C’è ancora domani sempre”, rammentando che quel domani non deve aspettare altro tempo per annientare il dolore perché “se fa male non è amore”.

Foto dal ©web