Venti minuti di spettacolo, due donne, un marito scomparso.
Si è aperta al Teatro India l’undicesima edizione di Dominio Pubblico- Youth Fest, manifestazione artistica dedicata ai giovani che proseguirà fino al 30 giugno. Quest’anno il titolo scelto è Metamorfo, un invito al cambiamento, all’evoluzione personale e sociale in un festival che si rivolge a tutti e a ogni forma di disciplina artistica.
E in questo contesto è stato riproposto Puf!, della drammaturga afroamericana Lynn Nottage, tradotto da Valentina Rapetti e portato in scena grazie alla regia di Paola Rota e a due attrici anche loro afrodiscendenti, perfettamente calate nei panni delle due amiche protagoniste.
Un testo del 1993 che è attuale come non mai, con una prospettiva che risulta ancora moderna nel parlare di violenza di genere. Venti minuti di spettacolo, un salto nella vita delle due protagoniste.
Siamo nel salotto di una casa, probabilmente in una periferia americana dove vive una nutrita comunità afrodiscendente, con i suoi ritmi e le sue abitudini. È qui che Loureen (Nadia Kibout) ha avuto l’ennesima discussione col marito violento. Poi ha provato a prendere posizione, a dire la sua, e sono bastate due parole per il Puf! del titolo, quello che ha trasformato l’uomo in polvere.
Di lui restano solo gli occhiali da vista, mentre il terrore si impadronisce di Loureen e la obbliga a chiamare Florence (Martina Sammarco), amica e vicina di casa con cui affrontare ciò che è appena accaduto. Quello che segue è un dialogo dai tratti surreali, in cui la scomparsa del marito, quasi metafora dell’omicidio ma senza i suoi cruenti risvolti, diventa occasione per parlare delle sue violenze.
Nella sua brevità Puf! riesce a portare a galla nello spettatore tutte le emozioni possibili. Si ride, perché il pretesto surreale della narrazione non può che strappare risate, ma c’è anche spazio per le riflessioni. Loureen è una donna come tante, vittima di una violenza da cui non ha avuto modo di scappare, nonostante ci abbia pensato, e che si trova davanti all’opportunità di una vita; ricominciare.
Accanto a lei e alle sue comprensibili paure c’è Florence, molto più aperta, a tratti entusiasta dell’accaduto. È lei che aiuto Loureen a mettere tutto in fila, a ricordare cosa sia stata quella vita accanto al marito, fatta di violenza e soprusi. Le due amiche si completano, si integrano a vicenda cercando di dar senso a quel Puf! che ha liberato Loureen, diventando in qualche modo complici di quell’assurda sparizione.
Mette tristezza immaginare che, trent’anni dopo la sua stesura, Puf! parli ancora a moltissime donne che nel segreto dei loro appartamenti, case divenute carceri, sognano che una magia tramuti la loro condizione.
Ma dà loro voce, ancora e ancora. Cerca la leggerezza per andare nel profondo, quello della violenza e della paura, del cosa sia aver vissuto una vita segnata. Prova a mostrare le preoccupazioni del dopo, di quando si ha occasione di ricominciare, perché la violenza e il dolore sono gabbie, sì, ma anche l’unica quotidianità che a volte si conosce, ed è complesso ripartire da zero.
Un testo breve, una rappresentazione velocissima che ha molto da dire e ci riesce. Senza tralasciare, senza esagerare, impegnata solo a fare un quadro del momento. Quello in cui il violento scompare e si può pensare di ricominciare.
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Puf! Di Lynn Nottage – Traduzione italiana di Valentina Rapetti – Regia di Paola Rota – Assistente alla regia Esther Elisha – Con Nadia Kibout e Martina Sammarco – Produzione Teatro di Roma – Teatro Nazionale in collaborazione con Università degli Studi della Tuscia – con il sostegno dell’Ambasciata degli Stati Uniti d’America in Italia – Progetto African American Drama on the Italian Stage – Teatro India 24 giugno 2024