Il teatro e il mettersi in gioco; intervista ad Andrea Gosetti

Bisuscchio, provincia di Varese. Sono due weekend di metà primavera quelli in cui si svolge il Festival “La meglio gioventù”, organizzata dall’associazione Intrecci Teatrali.
Teatro per ragazzi, rappresentazioni, laboratori ma soprattutto momenti di confronto e contaminazione.
Ho avuto il piacere di assistervi e intervistare Andrea Gosetti, direttore artistico della manifestazione.

Come nasce “La meglio gioventù”?
Il Festival nasce grazie a diversi stimoli, il primo dei quali è stato un convegno sul tema del teatro ragazzi. Stavo tornando a casa e mi sono messo a riflettere su come in quell’occasione, benché parlassimo di giovani, fossimo in realtà tutti adulti, soprattutto come in generale tendiamo sempre a relazionarci con i ragazzi da un piano di superiorità, come se li guardassimo dall’altro perché ne sappiamo di più.
Questo però fa venir meno il contatto, necessario, tra loro e chi lavora con loro. Così mi sono domandato come sarebbe stato creare un momento di scambio e confronto tra i giovani e gli artisti.
Per questo nel bando per le compagnie abbiamo messo subito in chiaro quali fossero le nostre regole; doveva essere una due giorni di cooperazione, di stare insieme, non il semplice assistere agli spettacoli e poi ognuno a casa sua, e lo stesso per i gruppi di ragazzi che vengono ad assistere.
Un altro stimolo, ma direttamente collegato, deriva dalla necessità di contaminazione; spesso i ragazzi che studiano teatro vedono nel proprio insegnante tutto il teatro, lo considerano come l’unica possibilità. In realtà gli artisti, gli attori, gli stessi docenti sono gli uni diversi dagli altri ed è necessario far incontrare, conoscere e contagiare i diversi modi di fare teatro.
Prima della pandemia avevamo un altro Festival, “Sogni all’aria aperta”, dedicato al teatro e ai più piccoli, che raccoglieva ragazzi da tutta la provincia. Ci piaceva l’idea di riproporre qualcosa di simile, a cui abbiamo aggiunto due laboratori, oggi quello sulla LIS con Andrea Falanga e la scorsa settimana un altro sul teatro di Grotowski.
Lo scopo è dare spazio alla sperimentazione, alla contaminazione
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Questa edizione si intitola “Io nel mondo”, perché proprio questo nome?
La scorsa edizione, organizzata subito dopo la pandemia, aveva come titolo “Mi fido di te”.
Le restrizioni stavano pian piano sparendo e ci stavamo accorgendo di cosa quel periodo avesse lasciato ai ragazzi; si erano chiusi sempre più nel mondo virtuale, allontanandosi dalle relazioni, dalla voglia di fare attivamente, cosa di cui ci siamo accorti anche guardando alla politica della valle. Sono sempre meno le persone, e non parlo solo dei giovani, che hanno voglia di mettersi in gioco, di fare la loro parte. Ancor di più qui a due passi dalla Svizzera, dove la situazione economica è più semplice ed è facile pensare “ma allora cosa resto a fare qua?”.
Per questo è nata l’idea del titolo “Io nel mondo”. Cosa posso fare? Come mi metto in gioco? Bisogna fare un passo nel mondo, smettere di dare colpe e responsabilità agli altri e fare la propria parte, questo il senso di un titolo che ha subito coinvolto i ragazzi che lavorano con noi.

Nell’epoca dei social tanti ragazzi sfruttano la visibilità anche per entrare nel mondo del teatro o del cinema come attori, non rischiamo di rendere corsi e scuole inutili perché “c’è una via più facile”?

Non credo ci sia questo rischio, perché il ragazzo che viene al corso di teatro è molto diverso dal ragazzo che sfonda tramite social.
Il teatro comporta, come dicevamo anche prima, il mettere in gioco se stessi, cosa che invece alla fine sui social non succede, perché lì è come se ci fosse una maschera, un filtro. A teatro la maschera va tolta, bisogna buttarsi in qualche modo.
È stato molto interessante quel che ci hanno risposto i ragazzi della scorsa settimana quando abbiamo chiesto loro se si potesse vivere senza teatro. Ci hanno detto che sì, si può vivere senza fintanto che non lo si conosce, ma una volta che lo si incontra non se ne può più fare a meno.

Il vostro San Giorgio è l’ultimo cinema della Valceresia, e in generale i cinema stanno chiudendo ovunque. Il teatro, proprio perché non ha senso che passi dalle piattaforme streaming, sopravviverà?
Questo è un tema controverso.
Parliamo di giovani, ma gli adulti dove sono? Soprattutto qui, lontano dalle grandi città, dove le attività culturali sono occasioni. Non abbiamo la varietà di scelta e opportunità che hanno città come Roma o Milano, eppure siamo sempre più bravi a condividere le cose sui social ma non a parteciparvi, ed è un vero peccato.

Come hanno reagito le istituzioni e la popolazione alla vostra manifestazione?
Proprio come dicevamo prima la gente ha probabilmente perso l’occasione di vedere qualcosa di bello, di partecipare, di essere presente.
La nostra fortuna però è quella di una amministrazione che, al contrario, crede nel teatro e nelle nostre attività.
Il Comune ha stanziato circa quindicimila euro, il paese conta più o meno quattromilacinquecento abitanti.
In proporzione è come se Milano stanziasse milioni, non è una cosa da poco.


Il teatro dovrebbe diventare materia scolastica, anche solo a livello di insegnamento teorico?
È una domanda complessa. Il rapporto scuola-teatro già esiste, esiste quando i ragazzi vengono a teatro con le scuole e ancora di più quando gli istituti ci segnalano ragazzi con difficoltà a cui fa bene approcciarsi al teatro.
Questo perché il teatro di per sé non giudica, non dà voti, permette di esprimersi. Trasformalo in una materia scolastica significherebbe, al contrario, renderlo soggetto a giudizi.
Quindi sì, da un lato farebbe bene, sarebbe un’occasione per i ragazzi, dall’altro potrebbe però fargli perdere il suo senso.