Danza, ambientazione thriller, un palco che non è mai lo stesso e un corpo di ballo dalla performance eclettica: questa la formula concentrata dello spettacolo Diptych: The missing door anche The lost room al Teatro Comunale di Vicenza.
Un sabato sera di metà marzo in uno spazio scenico inaspettato, capace di sovvertire le aspettative di chi si immaginava uno spettacolo ordinario e una trama delineata. Pepping Tom, con Diptych: The missing door anche The lost room, ha messo in scena una sintesi tra danza e teatro fuori dal comune, grazie a due situazioni diverse, due scenografie che hanno in comune il contenuto e l’obiettivo. Dal Belgio a Vicenza per la prima volta in occasione della sesta edizione di Danza in Rete Festival Vicenza – Schio, questa compagnia ha realizzato una proposta che presenta delle caratteristiche particolari: da una parte il forte lato mentale delle situazioni portate sul palco e dall’altra l’assenza di una storia, di una trama che rendano comprensibili e traducibili i passaggi e le scene.
Diptych si compone di due opere, inizialmente destinate al Nederlands Dans Theater: The missing door dell’argentina Gabriela Carrizo e The lost room del francese Franck Chartier, opere che, messe insieme, di fatto nominano e compongono questo spettacolo, eseguite in un’unica performance dai Peeping Tom. Il frutto di quest’unione è un vortice di danza continua, di coreografie tumultuose, impensabili trasportate in un setting trasformativo, attraversato da effetti speciali e da atmosfere quasi cinematografiche. La fisicità del corpo di ballo sovrasta la storia e il senso logico e razionale di ogni azione. Nessuna linearità e nessuna consequenzialità, nessun racconto con uno svolgimento preciso. Ma solo due scene principali e una serie di contenuti mentali passati attraverso il fisico e l’espressione. Prevale il significato profondo, latente di ogni movimento diretto ad una costante: la messa in scena dell’inquietudine, dello smarrimento, di quel vuoto presenti nell’esistenza. Il dramma che non lascia scampo, la volontà personale annullata e la ricerca di salvezza che sfocia in una lotta continua, dove la libertà viene schiacciata e imprigionata, viene messa in discussione la sua stessa esistenza e presenza.
È proprio da qui che passa la traduzione e la comprensione, difficile e non scontata, delle due scenografie e dello spettacolo in primis: il primo contesto, il The missing door, caratterizzato da una stanza a mo’ di salotto e da una serie di porte con al centro la storia di un uomo che sta per morire, consumata nel dramma. Il secondo, The last room, dominato da una camera da letto su una nave, vede la travolgente scena d’amore tra due giovani, sfociante in altrettanti momenti tragici e dirompenti. Entrambe le composizioni racchiudono momenti surreali e figure angoscianti, tra questi la presenza inquietante di un bambino in fasce, la testa di donna in braccio ad uno dei ballerini, il panno continuamente strofinato per terra che diventa rosso sangue, le apparizioni fugaci dall’oblò della cabina, armadi contenti corpi, le luci e le lampadine che sembrano muoversi da sole.
In entrambe le parti, la narrazione è giocata sul susseguirsi di danze portate agli estremi e sulle atmosfere fosche, da thriller storico, quel noir che rasenta la paura e la profonda inquietudine. Complici anche gli effetti speciali e l’alternarsi tra luci e momenti bui, l’apertura e la chiusura delle porte, le sonorità particolari, il flashback, la fusione tra il prima e il dopo, la sparizione improvvisa e inaspettata degli interpreti sul palco, il cambio stesso (lo smontaggio vero e proprio) in diretta dal primo scenario al secondo. Diptych è esibizione del lato oscuro e controverso propri di una serie di protagonisti non identificati che si fanno travolgere, usare, controllare e vedere. Un aspetto, questo, sottolineato dal nome stesso della compagnia: Peeping Tom, infatti, significa letteralmente guardone in inglese, termine che sembra evidenziare come il pubblico assista, quasi tra lo spiare e il voyeurismo, a quanto messo in atto, ad ogni singolo passaggio. Tutto diventa un turbinio di corpo e suono mentre la platea se ne sta ferma, a guardare appunto. Il gruppo dei protagonisti si presenta per poi sparire sotto agli occhi increduli e ingenui, si confonde dietro le pareti e gli ingegnosi artifici scenici, si rapporta attraverso forme e gesti estremi, corporei, in abbracci e unioni che sembrano strazianti, sofferenti e tormentati. Strappi nella carne e nello spirito perché è questo che viene portato e trasportato sul palco, privando l’intreccio di una storia precisa e rassicurante.
Konan Dayot, Fons Dhossche, Lauren Langlois, Panos Malactos, Alejandro Moja, Fanny Sage, Eliana Stragapede, Wan-Lun Yu: sono questi i nomi di coloro che, grazie ad una danza travolgente, forte nei passaggi e nelle sensazioni scatenate, perfetta nelle combinazioni, hanno portato al Teatro Comunale di Vicenza una presenza scenica dalla bellezza che stupisce, capace di delineare i contorni sfumati del tragico e del mentale. Un salto nei meandri insidiosi e avvolgenti dell’immaginario personale, in quei desideri che diventano irrealizzati, la volontà dissipata, quel mondo interiore che, senza le parole, passa tramite l’espressione e un ambiente che si conforma ai cambiamenti. Questa è una delle cifre di pregio di Diptych che, a sua volta e allo stesso tempo, rappresenta il suo lato ambiguo.
La parte critica di questo spettacolo risiede nella difficoltà di capire cosa sta realmente accadendo, la direzione che la scena sta prendendo in quel momento. Dubbi e perplessità che rendono la comprensione non immediata e talvolta confusa.
L’ignoto che viene portato in scena si riflette nello spettacolo complessivo, trasformandolo quasi in un’incognita. La spiegazione risiede forse nell’indeterminatezza che si annida nella vita stessa, quella fuori dal palco, quel senso di impotenza di fronte ai grandi eventi a cui la volontà personale cerca di rispondere e reagire, per riuscire a conquistare la libertà e l’iniziativa. Il teatro funge così da contenitore di spazi e di scenografie che toccano l’esperienza umana, nonostante il lato noir e la surrealità dello spettacolo in sé. Il palcoscenico diventa specchio dell’esterno in forme imprevedibili, dalla potenza che scuote l’emozione e la riflessione. Visto da questa prospettiva, Diptych funge da chiave capace di aprire porte personali mai considerate.
Il teatro e la danza fusi insieme dai Peeping Tom possono così assumere una sfumatura diversa, che supera il “ma che sta accadendo?” balenato in testa forse a più di qualcuno, per arrivare ad una forma più evoluta, cercata a livello mentale e che parla direttamente allo spettatore e alla sua realtà. Proprio perché ognuno, come gli interpreti di Diptych, ha le sue personali porte mancanti e le sue stanze perdute, popolate di luce, di ricerca, di solitudine e di perdita.
Diptych: The missing door and The lost room
ideazione, regia Gabriela Carrizo, Franck Chartier
performance Konan Dayot, Fons Dhossche, Lauren Langlois, Panos Malactos, Alejandro Moya, Fanny Sage, Eliana Stragapede, Wan-Lun Yu
con la partecipazione di Corrado Carollo
assistente alla creazione Thomas Michaux
drammaturgia del suono Raphaëlle Latini
progetto sonoro, arrangiamenti Raphaëlle Latini, Ismaël Colombani, Annalena Fröhlich, Louis-Clément Da Costa, Eurudike De Beul
luci Tom Visser
scenografia Gabriela Carrizo, Justine Bougerol
costumi Seoljin Kim, Yichun Liu, Louis-Clément Da Costa
produzione Peeping Tom
coproduzione Opéra National de Paris, Opéra de Lille, Tanz Köln, Göteborg Dance and Theatre Festival, Théâtre National Wallonie-Bruxelles, deSingel Antwerp, GREC Festival de Barcelona, Festival Aperto / Fondazione I Teatri, Torinodanza Festival / Teatro Stabile di Torino di Teatro Nazionale, Dampfzentrale Bern, Oriente Occidente Dance Festival