Le immigrazioni viste da chi non le conosce con “La Reine de Marbre” al Teatrosophia

Una nave come casa, navigando per secoli nelle acque di un mare che non sembrano conoscere. È questo l’inizio della storia del Capitano Arlecchino, Madonna Angelica e Petite Lucrecia, i protagonisti de “La Reine de Marbre”, lo spettacolo multilingue portato in scena al Teatrosophia.
Il testo di Francesco Baj, per la regia di Flavio Marigliani, interprete dello stesso Capitano Arlecchino, inizia come un viaggio fantasioso. Assieme a lui Mayil Georgi Nieto e Marta Iacopini, le protagoniste femminili con cui si apre lo spettacolo. Italiano, francese, spagnolo e inglese si mischiano, ma sempre comprensibili, nei dialoghi dei tre amici avventurieri, arrivati dal XVIII secolo e da allora in giro per mari. Lingue diverse che scandiscono una vita semplice e in comune oltre ogni barriera, dedicata al buon cibo, a qualche vizio alcolico e a tanto divertimento.

Poi, d’improvviso, la tempesta.
Inaspettata, violenta, sconvolgente prende la barca che fa loro da casa e la sbatte su una spiaggia conosciuta, a riva chissà dove. Il Capitano Arlecchino è sparito, le due donne spaventate. Fuori dalla loro secolare dimora barche ben più piccole e cariche, distrutte a loro volta da un mare che non conosce pietà.
Sul palco dove tutto si svolge le barchette sono di carta, alcune beige, alcune marroni, altre nere, fatte come le si faceva da bambini.
Non sono a caso i colori.
Madonna Angelica e Petit Lucrecia sono sbarcate sulle coste greche insieme a decine di migranti provenienti da ogni zona dell’Africa e del Medioriente. Per loro, ferme al secolo in cui sono nate, è tutta una novità.
Una novità triste, se ne accorgono quando gli si palesa davanti un poliziotto di frontiera, incaricato di dividere le persone in base al colore della pelle e al paese di provenienza.
Se le lingue dei tre amici, per quanto miste, si capiscono facilmente, il greco del poliziotto è duro e veloce, sa di ordini e di rigidità, marca proprio una differenza tra persone e popoli.

Di colpo le due donne sono costrette a scoprire il XXI Secolo.
Le immigrazioni sono solo la punta di un iceberg fatto di guerre, violenza, di plastica che invade i mari. Un mondo dove tutto è produzione e vendita, principi morali compresi.
Quello dei tre protagonisti è un viaggio nel tempo che ricorda il passaggio dalla spensieratezza dell’infanzia alla dolorosa consapevolezza dell’età adulta, alla ricerca di perché che non hanno risposte, di un senso al dolore del mondo.
Reso ancora più crudo e reale dagli avvenimenti di Cutro, “La Reine de Marbre” affronta l’immigrazione da una prospettiva diversa dal solito, provando a indagarne le ragioni andando oltre alle barche spiaggiate sulla sabbia, proprio come farebbe chi impara a conoscere il fenomeno per la prima volta. Quasi un monito che ci chiede di andare nel profondo, di non abituarci al male, alla sofferenza degli altri.

Fanno da sottofondo alla rappresentazione le musiche dei Beatles riarrangiate come fossero ballate settecentesche, che scandiscono gioia e tristezza delle vicende accompagnandole, colonna sonora di tutte le vite in scena, anche quelle invisibili.