Alla Fortezza est di Torpignattara è andato in scena il primo spettacolo del trittico operistico dei Tre Barba. Si tratta del Rigoletto di Giuseppe Verdi su libretto di Francesco Maria Piave. L’irriverente trilogia lirica prevede prossimamente anche Il barbiere di Siviglia (9-11 febbraio) e Don Giovanni (23-25 febbraio).
Il trio, formato da Lorenzo De Liberato, Alessio Esposito e Lorenzo Garufo, è certamente ben affiatato e assemblato, e non solo per le vistose barbe che incorniciano i loro visi, ma soprattutto per la preparazione musicale; anche se in questa operazione l’opera di Piave prevale su quella di Verdi.
I tre accolgono il pubblico che entra in sala, al centro del palcoscenico, tra un centinaio di palloncini sparsi in terra e un tipico litrozzo di vino rosso in bella vista, dal quale stanno sorseggiando, dopo aver accuratamente riempito i bicchieri, come se fossero invitati ad una festa. Naturalmente è il ricevimento che si tiene a Palazzo Ducale, durante il quale, il padrone di casa, il Duca di Mantova, ama circondarsi di belle fanciulle che bramerebbe corteggiare tutte insieme, tanto questa o quella per lui fa lo stesso.
Da quest’inizio impertinente prende forma la versione, senza musica, del Rigoletto dei Barba, in cui i tre giovani attori, alternandosi e camuffandosi grossolanamente, riescono a immedesimarsi nei personaggi principali dell’opera verdiana per ripercorrerne la trama, lasciandosi guidare dalle parole del Piave più che dalle note di Verdi.
Poche, infatti, le arie cantate, ma sempre intonate e con estrema precisione ritmica (senza musica non è facile!) e all’unisono; si riascoltano piacevolmente le più famose: La donna è mobile, o Bella figlia dell’amore e altre, tutte con timbri baritonali, qualcuno tendente al basso. I dialoghi, quasi tutti in rima, sono motivo di ironie, di ammiccamenti, di simpatiche boutade in barba (è il caso di dire) alla drammaticità della vicenda. Ne vien fuori una versione assai grottesca, soprattutto quando è il momento di Gilda (la bella figlia di Rigoletto) con tanto di barba e stivaloni. A tratti, in scena, si raggiunge la farsa, e sugli spalti si ride piacevolmente e si applaude alla vis comica degli interpreti.
Resta un dubbio sull’ambientazione. È vero che si tratta di uno scherzo, di un gioco, s’è detto, irriverente e grottesco, ma quando si usano testi operistici tanto famosi, quanto «intoccabili», bisogna essere molto attenti a restare in bilico sul filo del burlesco e non scivolare nella fossa del goffo, perché l’originale è un colosso sempre pronto a schiacciare ogni tentativo di simulazione. Che Rigoletto non sia opera scritta per un western è palese, ma è pur vero che si tratta di una storia di vendette: «Sì, vendetta, tremenda vendetta / di quest’anima è solo desio…». Proprio come lo sono molti film di quel genere: da John Ford a Sergio Leone. Pertanto aver avuto la coraggiosa e insolita intuizione di accompagnare alcuni momenti del testo con le sonorità create da Morricone per gli «spaghetti western» di Leone è lo spunto comico, giusto e logico, per percorrere una linea registica ben precisa, approfondirla, scandagliarla e perseguirla. Quando invece si trascende (Rocky ancor più di Ring of fire) con altre boutade che vacillano tra il singolo riferimento o la forzosa carrettella (soluzione recitativa improvvisata per strappare l’applauso), allora … «Come fulmin scagliato da Dio / il buffone colpirti saprà».
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Rigoletto da Giuseppe Verdi e Francesco Maria Piave a I tre Barba con Lorenzo De Liberato, Alessio Esposito e Lorenzo Garufo. Regia I tre Barba. Fortezza Est, fino al 28 gennaio