“Fior di Sicilia; La Trinacria è Femmina”

A chi come te e come me da vile materia trae la bellezza” (Enzo Moscato).

E’ un discorso complesso o forse è un conflitto complesso quello quanto mai attuale che si dipana negli angoli più nascosti dei quartieri ricchi di storia, quelli eretici e che rifiutano di omologarsi alla metropoli suburbana che vive col rumore di un cantiere in costruzione e muore col defluire del traffico. Dov’è finita l’arte? Sappiamo apprezzarne ancora il valore? Sono i centri storici, colmi di pietra grezza e aria calda che incidono lì, negli angoli seminascosti, la tradizione permanente di miti e leggende.

Theatrosophia (sito in Via della vetrina, n.7) è piccolo e grazioso spazio teatrale che porta alto lo stemma di tutti coloro (intellettuali e non) che hanno voglia di cercare la bellezza, eterna come la sfinge, nonostante un mondo che ruota vorticosamente il suo asse. “Il fermo immagine della pandemia non ha scoraggiato né me ne Teatrosophia”, dichiara il direttore artistico Guido Lomoro, “anzi ripartiamo carichi di tante nuove idee da realizzare”. Qui dove si può sentire il suono e assaporare il gusto di ogni tradizione, è andato in scena, dal 20 al 23 ottobre, “La Trinacria E’ Femmina”, una divertente e poetica pièce teatrale, ( produzione I vetri blu e La parabola) in cui l’ultima cantastorie Lorena Vetro (chitarre e voce) e la cuntastorie Ilenia Costanza (narrazioni e percussioni), con la complicità di Monica Tenev (bandoneon e flauto traverso), raccontano la Sicilia.

La Sicilia, questa tanto discussa isola di mafia e mare, di cassate e caponata, di poeti e cantori. Partendo dal grammaticale femminile singolare delle parole che la descrivono… “Siccità è femmina… Santa Rosalia a Palermo e Sant’Agata a Catania sono femmine. Ma anche la vigna, la mandorla e l’arancia. E il pistacchio. Sì, perché da noi il pistacchio si chiama ‘a fastuca! E diventa femmina… come la bellezza!”. Pirandello, Sciascia, Verga… Rosa Balistreri, Otello Profazio, Nonò Salamone, Domenico Modugno. “La Leggenda di Colapesce”, “Ciàula scopre la Luna”, “Amara Terra mia”, “la Fuitina”, “Qua si campa d’aria” fino al tripudio del pubblico che si commuove e ride. E si sazia anche, perché queste otto donne svelano ricette e origine di una cucina povera di materia prima e ricca di sapore; il sapore di quella primordiale ricchezza che è l’amore. “… e ricordatevi che le donne qui sono come le lupare!”

Lo spettacolo, che accoglie e coinvolge lo spettatore come in un salotto musicale, assume le sembianze ora di una tarantella sfrenata, ora di una romantica serenata e si conclude con il tragico canto funebre di Barbablu “u mattu” che cerca di perdonare quel Dio che gli ha portato via la sua amata. Durante il reading si alternano momenti di spensieratezza ad altri di riflessione ma non mancano gli sketch comici tra le canta-attrici e il ripetuto uso di strumenti musicali della tradizione popolare come  il chimes e lo shaker. Sembra di sentire il profumo delle arance, di soffrire nelle cave assieme ai minatori mentre  Barbablu “u mattu” grida ancora alla luna. Straziante e intensissimo il finale monologo di Ilenia Costanza sul racconto del giovane soldato rimasto ucciso durante un combattimento. Reading come questi sono necessari a svegliare le coscienze, a restituire bellezza e a dare speranza per quanto ancora si può.

Photo by Photoroby1965