Con Prayers for the Stolen si apre la stagione 2022 di Film Society, la rassegna cinematografica che dal 28 giugno al 7 settembre trasformerà gli spazi all’aperto del Teatro India, dello Sky Park Casilino e della Casetta Rossa nel quartiere Garbatella in luoghi d’incontro per critici esperti o spettatori occasionali accomunati dall’amore per il cinema. Molti i film in programmazione, internazionali e non, ma anche incontri, masterclass e approfondimenti del mondo dell’industry cinematografica.
Il primo film in programma è Prayers for the Stolen, prodotto da Mubi, scritto e diretto dalla cineasta messicana Tatiana Huezo Sánchez e liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Jennifer Clement. Si racconta la storia di tre bambine, Ana, Paula e Maria, e della loro crescita nella città di Guerrero, assediata da militari e membri del cartello messicano. Il film si potrebbe dividere in due sezioni: la prima descrittiva e documentaristica, la seconda narrativa e, da un punto di vista emotivo, più coinvolgente.
Prayers for the stolen è la prima opera di finzione di Tatiana Huezo, nota principalmente per i suoi documentari; non si tratta di un elemento trascurabile dal momento che l’occhio distaccato e obiettivo, tipico delle opere documentarie e che fa da padrone nella prima parte del film, aiuta la regista ad immettere gradualmente lo spettatore in una realtà sconosciuta e a lui lontana. Il film si apre con una serie di riprese panoramiche sull’ambiente naturale di Guerrero, fatto di alberi, fiumi, campi di papavero e cave di pietra in cui poche famiglie vivono una vita faticosa e misera in piccole case, povere e spoglie. Un’inquadratura in particolare, quella che riprende la vita operosa di una colonia di formiche, affiancata in successione ad un’altra in cui viene mostrato il lavoro maschile nelle cave di marmo e quello femminile nei campi di papavero, mostra come le riprese da documentario non siano completamente estranee in un film di finzione, ma anzi aiutino a creare metafore visive che dialogano con lo spettatore per associazione di immagini, senza necessità di far parlare i protagonisti.
Il silenzio e il vuoto sono infatti presenze pervasive e ingombranti nella narrazione e che significativamente caratterizzano anche il primo turning point del film: il rapimento di una bambina del villaggio per mano del cartello messicano. Nessuno osa ribellarsi o spezzare il silenzio e le bambine, senza possibilità di comprendere cosa sta accadendo intorno a loro, diventano da quel momento vittime inconsapevoli. Le madri non permettono loro di truccarsi o avere capelli lunghi, le costringono a restare in silenzio e nascoste alla vista in modo che loro, gli usurpatori della loro terra, non le riconoscano per quello che sono: donne e bambine. Ad essere cancellata non è solo la loro infanzia, ma la loro stessa femminilità che viene vissuta dalle protagonista come una colpa di cui non riconoscono origini e motivazioni.
Nella seconda parte del film si assiste al passaggio dall’infanzia delle bambine all’adolescenza durante la quale acquisiscono maggiore consapevolezza di sé. Aumentano le scene crude, in cui corpi nudi e violentati di donne vengono abbandonati nei boschi, apparentemente nascosti ed invece volutamente lasciati lì come monito e avvertimento per le prossime vittime. Allo stesso tempo però c’è un inusuale rilassamento dei toni, la narrazione diventa più lineare e scorrevole, ci si concentra sulla vita adolescenziale delle protagoniste come se l’orrore fosse così onnipresente da diventare quotidiano, un evento di contorno nel normale proseguimento della loro vita.
Tatiana Huezo riesce a creare un saldo legame emotivo tra personaggi e spettatori perché fa compiere ad entrambi un medesimo percorso di formazione e consapevolezza. Nel corso del film i rapimenti delle bambine sono annunciati da colpi di pistola o rumori di macchine in avvicinamento, elementi che lo spettatore impara, insieme alle protagoniste, a riconoscere ed avvertire come segnali di pericolo. Nella scena in cui Ana ha il primo mestruo, si ode in lontananza il rumore di una macchina e la tensione diventa massima: qualcosa di terribile sta per accadere ed infatti gli uomini del cartello arrivano a reclamare il corpo di Ana. La sequenza è emblematica della colpa-non colpa delle protagoniste: quella di essere donne, possedere un corpo e desiderare di riservarsi ogni diritto su di esso. Le mestruazioni assurgono a passaggio ultimo e definitivo dall’adolescenza alla vita adulta: nel momento in cui si diventa donna si smette di esistere come essere umano libero e indipendente. Quest’ultima riflessione, ad oggi, è una verità che viene declinata diversamente di paese in paese ma resta universale.
La visione della pellicola nei giorni in cui la Corte Suprema degli USA ha annullato la sentenza Roe vs Wade fa comprendere quanto Prayers for the Stolen sia un’opera che per quanto possa apparire afferente ad una realtà sociale e politica lontana da noi è invece terribilmente vicina; senza alcuna edulcorazione Tatiana Huezo ci mostra con brutale onestà la vita di donne mutilate, spaventate e costrette al silenzio. Donne non troppo dissimili da noi, spettro di quello che siamo e che potremmo diventare.