25 anni senza Fabrizio De André si sentono tutti

L’11 gennaio 1999, De André lasciava in eredità un modo di guardare la realtà tanto raro quanto necessario per il mondo.

A 25 anni dalla morte del cantautore genovese possiamo dire con cognizione di causa che gli obiettivi da spuntare sono ancora tutti lì e forse avremmo dovuto averlo tra noi ancora per molto tempo prima di poter dire: “finalmente abbiamo chiuso una porta senza aprire un portone”.

Senza il rischio di qualunquismi vari, la guerra che in Europa mancava che allora fu di Piero, ora è di Mykhailo e di Vasilij che certamente avranno avuto lo stesso, identico, umore e con altrettanta certezza avevano soltanto le divise (termine quanto mai azzeccato per creare una frattura incolmabile tra Me e Te) di un altro colore. E per quanto questa guerra fosse alle porte, per usare il gergo calcistico, dell’Europa che conta, ci siamo creduti assolti grazie agli aiuti bellici e a quel bombardamento mediatico lampo durato giusto il tempo di adattarsi.

Inconsciamente ci siamo convinti che fosse un gioco a cui avremmo giocato poco. Così è stato. Non appena c’è stata la possibilità abbiamo spostato la nostra attenzione su un altro gioco. Un gioco che va avanti dal maggio del ’48 quando a sparare e a sparare ancora c’erano David e Ben. E a dormire sepolti nei campi di grano c’erano Zahira e Talib.

Fabrizio De André con le mani sporche di terra.

Minimo comun denominatore dei morti di tutto il mondo è il fatto che lo fanno senza essere cinematografici o interessanti. Muoiono in silenzio. E seppur parlassero lo farebbero ad una cospicua minoranza che non può nulla se non commiserarli nella loro altrettanto umile esistenza.

De André è il defibrillatore che tiene in vita il ricordo degli ultimi nella memoria della maggioranza della gente, non solo perché diede voce a chi non era ascoltato come farebbe il miglior giornalista, ma perché consegnò all’eternità le loro testimonianze, come farebbe il miglior musicista.

Ma intanto la Storia continua su più fronti, nonostante le verità della televisione abbiano seguito il vento di consenso e virato verso il fiume di denaro. Rigorosamente in direzione arrendevole e accondiscendente.

Guerre universali, violenze particolari, poveri cristi e ricchi cristiani sono sempre lì come De André li aveva lasciati. Solo un po’ più numerosi da tutte le parti. Eppure la soluzione Faber ce l’aveva data. Cercare di lanciare il cervello oltre il confine stabilito che non Dio ma qualcuno che per noi l’ha inventato, ha tracciato ai bordi dell’infinito.

Omaggiare Fabrizio De André non è mai facile (vedi i tentativi vani della Rai, seppur con un ottimo e ricercato Luca Marinelli). Ma lo spettacolo teatrale di Federico Buffa (qui la nostra recensione) è certamente uno dei risultati più rispettosi.