Quando parliamo di Emmanuel Carrère, non possiamo usare toni neutri, è uno di quegli autori che non lascia indifferenti, che non scompare dietro alle sue storie o ai suoi personaggi.
È sempre lì, enorme e ingombrante, qualunque accezione si voglia dare ai due aggettivi, anche quando scrive delle vite degli altri, “Limonov” o “L’Avversario”. Figuriamoci poi se il protagonista del racconto è proprio lui, e lo scopo è quello di farci partecipi di un periodo difficile della sua vita.
Il risultato è un libro, “Yoga”, pubblicato a fine agosto in Francia e che, in Italia, uscirà tradotto nella prossima primavera, edito da Adelphi. Primo nelle classifiche delle vendite d’oltralpe, è già un successo di pubblico e di polemiche, per le liti con la ex moglie che lo ha accusato di aver usato dei fatti personali senza la sua autorizzazione.
“Yoga” mette subito in chiaro quello che possiamo aspettarci dalla lettura: un tuffo nell’interiorità dell’autore e nel periodo forse più difficile della sua vita.
Comincia così, con l’intenzione di parlare di yoga, descrivendo uno stage di meditazione “vipassana”, dieci giorni di silenzio, digiuni, esercizi e riflessioni a cui l’autore partecipa con lo scopo, forse poco zen, di scriverci un libro.
Ma stiamo pur sempre parlando di Carrère, e quindi presto la storia vira, la realtà irrompe bruscamente nel ritiro isolato, perché è il 7 gennaio 2015, il giornale Charlie Hebdo è stato attaccato e uno dei suoi più cari amici, Bernard Maris, ucciso; a lui il compito di pronunciarne l’elogio funebre.
Lo stile del libro è diretto, pulito, stringente, non lascia un momento di pausa, anche quando ci parla di Platone, di yin e yang, del giorno che va verso il crepuscolo, la notte verso l’alba e di noi che siamo presi in un divenire incessante di eterna metamorfosi.
L’ironia pervade tutto il racconto e non permette al lettore di distrarsi o annoiarsi neanche un attimo. Appassionanti sono persino le descrizioni dei momenti di meditazione passati a concentrarsi sul soffio dell’aria che passa attraverso le narici, o la lista di quelle che possono essere le definizioni della meditazione: la meditazione è liberarsi della propria identità, la meditazione è noia, la meditazione è accettare tutto ciò che accade, la meditazione è smetterla di raccontarsi delle balle, la meditazione è scoprire che si può essere altro senza dirsi continuamente: io, io, io!
Ma è proprio di se stesso che Carrère ci parla e lo fa magistralmente, mettendosi a nudo attraverso la sua abilità di affabulatore, non rinunciando mai ad affascinarci neanche quando ci racconta di depressione severa, di disturbo bipolare, di elettroshock, di migranti e di vite incrociate per un momento condiviso, poi perse, ma comunque significative.
Carrére ama stupire, ammaliare, conquistare, ama riflettere, ama parlare di cultura e filosofia, dell’animo umano e delle sue infinite sfumature e padroneggia la scrittura in modo magistrale.
Se tutte queste caratteristiche siano pregi o difetti è una risposta che ognuno deve dare per se stesso.
E se questo libro sia l’ammiccamento di uno scrittore egocentrato e abilmente padrone del suo mestiere, o invece, come molti in Francia l’hanno già definito, sia “magistrale”, “il suo libro più bello”, questo è un interrogativo che si potrà risolvere solo leggendolo!