Wittgenstein, l’uomo che voleva essere altro da sé

Le parabole del linguista tedesco nella lettura di Giuseppe Manfridi

Giuseppe Manfridi al Teatrosophia ha voluto fare un regalo al filosofo, pensatore e linguista austriaco Ludwig Wittgenstein: creare un’opera filosofica intrisa di elementi umoristici. E così sia: ne Le favolette di Wittgenstein si respira pienamente il pensiero del filosofo contemporaneo che gioca con la genesi delle parole nel senso più semantico possibile.

Altri linguisti e filosofi come Sant’Agostino o Umberto Eco avevano intrapreso questa ricerca affannosa del significato linguistico racchiuso in ogni semplice parola utilizzata nel nostro quotidiano.

Wittgenstein si trova in Inghilterra, esattamente nell’Università di Cambridge, per tenere delle lezioni con i suoi studenti, intrattenendoli sulle sue massime esistenziali, le Favolette, pillole di saggezza linguistica racchiuse in metafora della lunghezza quasi paragonabile alle Massime di François de La Rochefoucauld o ai Pensieri di Blaise Pascal, entrambi filosofi pessimisti del Seicento francese.

Essenziale per lo spettatore è non perdersi nella dialettica filosofica: d’altronde, il filosofo è colui che riesce ad andare oltre il pensiero dell’uomo comune fino a spingersi verso l’ignoto o per meglio dire verso il Noumeno, come direbbe il filosofo tedesco Immanuel Kant.

Giuseppe Manfridi decide di sdoppiarsi per un’ora di spettacolo: il drammaturgo si trasforma in un tormentato, goffo Wittgenstein con una lieve zoppia che gioca con suoni onomatopeici per descrivere, nel proprio quotidiano, la sua tormentata filosofia linguistica per poi uscire, come per prendere fiato, dal proprio personaggio per vestire i panni di un fugace narratore intento ad esplicare i gesti e i movimenti del filosofo austriaco.

Tutta la narrazione viene aiutata dai suoni: la musica, i brusii, le voci fuoricampo di Marcantonio Lucidi e del Manfridi stesso come evocazione di ragionamenti di Wittgenstein, aiutano il Manfridi-Wittgenstein a concretizzare un processo intellettuale complesso e avviluppato.

Sulla scena, posti in forma piramidale, cinque pannelli con le effigie del linguista austriaco scomposta in cinque modi diversi, tante quante potrebbero essere le frammentazioni del pensiero umano destrutturato. Infine, una sedia, compagna di sedute di Wittgenstein durante le discussioni con gli studenti, a teatro, nella sua vita privata. Persino nel suo studio questo semplice elemento scenico diventa complice silenzioso delle teorie di Wittgenstein, nel compimento dei suoi giochi linguistici.

Tratto dall’omonimo saggio, ne Le favolette di Wittgenstein il magico trittico composto dalla penna e dall’interpretazione di Giuseppe Manfridi, dalla regia di Claudio Boccaccini e dalla scenografia di Antonella Rebecchini, crea ancora una volta uno spettacolo denso di significati, la cui soluzione possibile è solo quella di ascoltare senza dare un senso alle cose, proprio come farebbe Wittgenstein.

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“Le favolette di Wittgenstein” di e con Giuseppe Manfridi – in voce Marcantonio Lucidi – Regia Claudio Boccaccini – Installazione scenica Antonella Rebecchini – dal 27 al 30 Marzo al Teatrosophia.