Dalla memoria di Doris Day ai colossi Netflix e Paramount–Skydance: la storia di un’icona del cinema che rischia di cambiare per sempre.
Doris Day, la grande attrice e cantante che, nella Hollywood degli anni ’40 e ’50, incarnò la “fidanzata d’America” e contribuì a portare la Warner Bros sugli schermi di tutto il mondo, sarebbe oggi indignata nell’apprendere della vendita della storica casa di produzione che lanciò capolavori indimenticabili.
Artista versatile, protagonista di decine di commedie musicali di enorme successo, stimata dalla critica musicale al fianco di giganti come Billie Holiday, Frank Sinatra, Bing Crosby e Nat King Cole, aveva un carisma e una grazia che sembravano usciti dai pennelli di un pittore innamorato. Fu scoperta proprio dalla major che, negli anni Trenta, rivoluzionò il cinema introducendo il sonoro e cambiando per sempre la storia di Hollywood.
La Warner Bros è stata la culla di film leggendari come La leggenda di Robin Hood, Lo sparviero del mare, Capitan Blood con Errol Flynn, fino a Casablanca con Humphrey Bogart e Ingrid Bergman. E ancora Gioventù bruciata, La valle dell’Eden, Il Gigante con il giovane James Dean, per poi arrivare a My Fair Lady con Audrey Hepburn e Rex Harrison. Solo una manciata tra i titoli che hanno segnato la storia del cinema.
Pensare che tutto questo finisca in mani diverse fa vibrare di nostalgia e amarezza chi continua a considerare la Warner una delle colonne portanti della memoria cinematografica del Novecento.
Per la Warner Bros non si sa ancora chi la spunterà tra Netflix che ha offerto 83 miliardi di dollari o la Paramount che sul piatto ne ha messi quasi 110, ma sarebbero in tanti a rivoltarsi nella tomba da Jane Weiman a Joan Crawford da Frank Sinatra a Monygomrry Clift da Gary Cooper a Randolf Scott, fino a James Stuart, Clark Gable e Bette Davis e da James Dean a Rita Hayworth, Elizabeth Taylor, Rock Hudson fino a Paul Newman e Robert Redford. E chissà cosa ne pensano oggi Tom Cruise, Leonardo Di Caprio, ma anche una new entry come Timothee Chalamet.
Resta il fatto che complici le regole antitrust americane l’intera storia di Hollywood sta per mettere fine alla sua stessa storia e a quella del cinematografo targato Hollywood.
Alla fine degli anni Novanta ebbi l’opportunità di entrare, con le telecamere Rai, nei celebri studi di Burbank — oggi trasformati in museo — per realizzare un mio documentario dedicato alla storia della Warner. Un accesso speciale che mi fu concesso grazie anche al passato di mio padre, manager della major in Italia.
Varcare il “santa santorum” di Jack Warner, l’ultimo dei fratelli a guidare la compagnia, fu un’emozione difficile da dimenticare: restammo senza parole, con gli occhi lucidi, mentre filmavamo l’Aston, la moto di James Dean; la spada e i costumi dello spadaccino Errol Flynn; il Winchester di John Wayne; e perfino il grande disco registrato del primo film sonoro ideato da Sam Warner, custodito in una teca di cristallo.
Accanto, un documento storico: il telegramma che Al Jolson — protagonista de Il cantante di jazz (1927) inviò alla morte di Sam Warner, con le condoglianze e una frase destinata a restare:
«Quando muore un grande fratello, l’importante è che ce ne sia un altro a concludere l’opera».
La visita proseguì accompagnata dalla colonna sonora di Casablanca: decine di Oscar, premi internazionali, fotografie, copertine di Time, Life, Variety; set, bozzetti, materiali di scena; i grandi registi — da Curtiz a Wilder fino a Hitchcock. Io e l’operatore Alessandro Bastoni eravamo commossi davanti a quell’immenso patrimonio di documenti, costumi e filmati: la testimonianza viva di una major che aveva segnato più di un secolo di storia del cinema, insieme alle storiche sorelle MGM, Fox, Universal e naturalmente Disney. Una Hollywood che allora esisteva appena nei ricordi, perché quella vera non c’era già più.
Ma ora la domanda è un’altra: chi saranno i nuovi padroni del cinema del futuro, sempre più tecnologico e radicalmente diverso? Da una parte Netflix, pronta a puntare sull’intelligenza artificiale e su nuovi modelli produttivi; dall’altra il nuovo gigante Paramount–Skydance, guidato da David Ellison e sostenuto dal fondo di Jared Kushner genero di Donald Trump, con un’offerta da 30 dollari per azione che valuta il gruppo oltre 108 miliardi di dollari.
Il cuore di Hollywood cambia ancora una volta. Resta da capire chi ne scriverà il prossimo capitolo.
Per acquistare l’intero universo Warner — con tutti i suoi segmenti, compresa la CNN — la partita appare complessa. Netflix, secondo le indiscrezioni, sarebbe interessata principalmente ai celebri studi, alla vastissima library e a HBO,mentre l’altro contendente punta all’intero gruppo.
Gli osservatori più informati ritengono che il processo sarà lungo e potrebbe concludersi nelle aule giudiziarie di Los Angeles. A complicare lo scenario c’è il ruolo della famiglia Ellison: il capostipite, Larry, figura di spicco nel mondo tech e fondatore di Oracle, con legami molto stretti con il governo israeliano, è considerato un attore di grande peso nelle future decisioni.
Sarà probabilmente proprio nelle loro mani che, alla fine, si decideranno governance e assetto del nuovo colosso globale dell’intrattenimento.
«Fare del buon cinema che duri nel tempo non è da tutti», diceva un grande come François Truffaut. I film di Rossellini, Capra o Wilder non si limitano a raccontare storie per immagini: scolpiscono personaggi che si trasformano a contatto con realtà geografiche, sociali, spirituali e politiche. Un cinema che lascia il segno perché capace di cambiare sia chi guarda sia chi viene raccontato.




