“Vivien.”, un atto d’amore taciuto

Nota ai più per il suo ruolo in “Via col Vento” ed icona di femminilità, Vivien Leigh cerca il riscatto in un viaggio alla riscoperta del proprio Sé.

Con la sua Rossella O’Hara conquistò Hollywood (e non solo); eppure la meravigliosa Vivien Leigh – all’anagrafe Vivian Mary Hartley – è stata una talentuosa attrice di teatro (il suo primo, unico e grande amore). Un talento innato, il suo, presto però dimenticato da un fascino irresistibile, al quale pubblico e critica si arresero di buon grado. Così, dimenticandone le intense doti attoriali, è passata alla storia come un’icona di femminilità intraprendente, indipendente ed anticonformista. Ma, dietro quella candida bellezza, si celava una donna controversa, fragile la cui fama e successo non servirono di certo ad eludere i più profondi tormenti.

Anni ’70. Un manicomio ed una giovane donna (Ilaria Fantozzi), convinta di essere la figlia di Vivien Leigh (Caroline Pagani). Così, in una bidimensionale scenografia asettica, prende il via un viaggio multidimensionale tra l’onirico, la neuro psicosi e la scoperta del Sé più recondito. Facendo ricorso alla dialettica Freudiana dell’Io e dell’Es, messo in atto da un austero direttore (Alessandro Bevilacqua) – i cui metodi già allora sarebbero stati alquanto discutibili – lo spettatore viene coinvolto in un costante e sdoppievole gioco delle parti (non a caso, tra i pochi ed essenziali oggetti di scena il libro de “Il Fu Mattia Pascal”).

Ripercorrendo, pertanto, la vita più intima dell’attrice, l’intento è quello di esplorare gli anfratti più reconditi della Vivien donna, prima ancora che attrice, riportando in luce l’insanabile (o così si sarebbe potuto credere) frattura da quel Sé troppo a lungo contrastato, vituperato, rinnegato. Un intento drammaturgico che, purtroppo, rimane tale: lontani dallo scandagliare la personalità dell’artista, quello che ne risulta è una drammaturgia approssimativa, priva di intensità performativa. Performatività, questa, assente a causa di una costante dissociazione tra partitura corporea e recitativa; tra gesto e parola; tra corpo e voce.

Se l’intento (e di questo ne siamo certi) sia stato quello di rendere giustizia ad una donna e attrice, quale Vivien Leigh, il risultato – un atto d’amore taciuto – non ha di certo soddisfatto le aspettative. Quello che ne rimane è Lei (o meglio, l’idea di Lei): Vivien.”

Vivien. di Donatella Busini. Regia e drammaturgia musicale di Mauro Toscanelli. Con Alessandro Calamunci Manutta, Ilaria Fantozzi, Caroline Pagani, Mauro Toscanelli, Alessandro Bevilacqua – Luci Alessandro Iannattone – Costumi Emanuele Zito – Scene Massimiliano Persico – Ipazia Production – Teatro Lo Spazio, 14 – 17 marzo

Foto di copertina: Caroline Pagani e Ilaria Fantozzi