La Mostra del Cinema di Venezia celebra il coraggio delle storie con “La voce di Hind Rajab”, mentre il cinema italiano e il ricordo di Giorgio Armani chiudono l’edizione con una potente eco internazionale.
A due giorni dalla conclusione dell’82ª edizione della Mostra del Cinema di Venezia, il red carpet del Palazzo del Cinema si è acceso della presenza del premio Oscar Joaquin Phoenix, questa volta non come attore, ma in veste di produttore esecutivo insieme a Brad Pitt e Alfonso Cuarón per La voce di Hind Rajab, il toccante film della regista tunisina Kaouther Ben Hania, già candidata all’Oscar con il documentario Quattro figlie.
Kaouther Ben Hania
Presentato in concorso proprio ieri sera, il film è stato accolto da 25 minuti di applausi ininterrotti, emozionando pubblico e critica fino alle lacrime. È, senza dubbio, uno dei film più potenti e discussi di questa edizione. L’autrice, in corsa per la prima volta per il Leone d’Oro, ricostruisce con straordinaria intensità gli ultimi momenti di vita della piccola Hind, una bambina palestinese di cinque anni, attraverso le registrazioni reali delle sue telefonate ai volontari della Mezzaluna Rossa, mentre era intrappolata in un’auto colpita da raffiche di mitra dell’IDF. Critici e pubblico, idealmente, sembrano già averle assegnato il Leone d’Oro.
Tra gli ultimi titoli in concorso ha ricevuto applausi anche Valeria Bruni Tedeschi, straordinaria nel ruolo di Eleonora Duse nel film di Pietro Marcello dedicato alla Divina, quarto film italiano in gara.
«Di fronte ai conflitti, il cinema ha la forza di smuovere le coscienze» – ha dichiarato Alberto Barbera, direttore artistico della Mostra, ospite ieri del direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana, sottolineando come, più che mai quest’anno, il cinema abbia segnato un ritorno alla realtà, affrontando con coraggio i temi della contemporaneità.
Come ha saputo fare Paolo Sorrentino, che in La grazia affida a Toni Servillo il ruolo di un Presidente della Repubblica alle prese con dilemmi etici che toccano le corde più profonde del rapporto tra legge, coscienza e umanità. Allo stesso modo, Noah Baumbach in Jay Kelly scava nella psicologia di un attore smarrito, vittima di una crisi d’identità che esplode troppo tardi per essere realmente risolta. È un cinema che racconta il dolore e la fragilità senza filtri, come fa Valérie Donzelli in À pied d’œuvre, tratteggiando con sensibilità il percorso interiore di un giovane scrittore che sfida il fallimento in una Parigi lontana dalle cartoline patinate. Oppure come fa Park Chan-wook in No Other Choice, dove il licenziamento di un falegname diventa il punto di partenza per indagare le ferite di una dignità calpestata.
Anche Sotto le nuvole, il docufilm di Gianfranco Rosi, contribuisce a questa narrazione collettiva con una Napoli in bianco e nero, restituita in tutta la sua potenza simbolica e sociale, ben lontana dagli stereotipi folkloristici. E ancora Il mago del Cremlino di Olivier Assayas, che, evitando semplificazioni ideologiche, ricostruisce con precisione la parabola politica e personale di un giovane Vladimir Putin, interpretato da Jude Law, restituendoci una visione inquietante della Russia post-perestrojka.
Non mancano le visioni distopiche: da A House of Dynamite di Kathryn Bigelow, che esplora gli scenari di una minaccia atomica fin troppo plausibile, al Frankenstein di Guillermo del Toro, che rilegge il mito in chiave contemporanea, con la consueta maestria visionaria. Più intimo e rarefatto, invece, Mother, Father, Sister, Brothers di Jim Jarmusch, che si muove tra relazioni affettive e derive esistenziali con la sua inconfondibile poetica.
Nel giorno della tanto attesa anteprima delle prime due puntate di Portobello, la serie firmata da Marco Bellocchio sul caso Enzo Tortora, il concorso ufficiale ha però mostrato un leggero calo di qualità, come ha sottolineato la critica Anna Maria Pasetti, segnalando film meno incisivi come The Testament of Ann Lee, ispirato alla fondatrice della setta quaquera degli Shakers, e The Smashing Machine, sulla vita del wrestler Mark Kerr.
Oggi è il giorno del quarto film italiano in concorso, Elisa di Leonardo Di Costanzo, regista premiato a Venezia nel 2012 con L’intervallo e noto per Ariaferma (presentato fuori concorso nel 2021), con cui ha vinto due David di Donatello. Il regista è stato anche selezionato a Cannes nel 2014 con Les ponts de Sarajevo.
Elisa racconta la storia di una donna, interpretata da Barbara Ronchi, rinchiusa in carcere da dieci anni per un atto di violenza estrema contro la sorella maggiore. Un crimine apparentemente senza movente, che la mente di Elisa ha completamente rimosso. Sarà l’incontro con un criminologo a far riaffiorare un dolore profondo, primo passo verso una possibile redenzione.
Anche fuori concorso si fa notare il cinema italiano, con Il mostro, la serie Netflix diretta da Stefano Sollima, che ripercorre i fatti del caso del Mostro di Firenze, uno dei primi casi di serial killer in Italia, con omicidi commessi tra il 1968 e il 1985 ai danni di giovani coppie.
Domani la Mostra si chiuderà con la proiezione in contemporanea in tutte le sale italiane di Un film fatto per Bene, omaggio all’istrionico Carmelo Bene, firmato da Franco Maresco, il regista più corrosivo e visionario del cinema italiano. È il quinto e ultimo film italiano in concorso ufficiale. È proprio il caso di dirlo: speriamo Bene!

Giorgio Armani
E giunge in chiusura di articolo la notizia della morte di Giorgio Armani scomparso a 91 anni, legato indissolubilmente al mondo della moda e al Made in Italy . Apprezzato e ammirato in tutto il mondo è stato sinonimo di eleganza e di italianità , sin dal 1975, anno di fondazione del brand. Forte è stato anche il suo legame con il cinema a partire dalla prima collaborazione con il giovane regista Paul Schrader quando gli chiese di vestire un promettente e fascinoso Richard Gere protagonista di American Gigolò. E poi star come Jodie Foster, Tom Cruise, Bratt Pitt e tanti altri per oltre 200 film. Che la terra ti sia lieve!