di Riccardo Bramante
Nel luglio di 130 anni fa moriva, a Auverse-sur-Oise in Francia, Vincent Van Gogh, uno dei più sottovalutati e addirittura disprezzati pittori in vita quanto tra i più quotati oggi sui mercati d’arte.
Non vogliamo qui raccontare il Van Gogh pittore, le sue opere e i suoi stili quanto piuttosto l’uomo e la sua vita travagliata con tutte le difficoltà ed ostacoli trovati che hanno, comunque, influenzato i diversi periodi della sua arte. Lui stesso ebbe a dire nell’ultima lettera inviata al fratello Theo “Nel mio lavoro rischio la vita e la mia ragione vi si è consumata a metà” e senza nemmeno terminare lo scritto il giorno dopo si uccise, non in uno di quei colorati campi di grano che tante volte aveva dipinto, ma in una sporca buca di letame.
Fu la quasi logica conseguenza di una vita resa impossibile dal disprezzo e dall’ostilità della gente tra cui si trovava ma che sempre andava cercando con il desiderio di riceverne un minimo di affetto.
E’ difficile valutare le sue azioni fin da quando, ancora giovane, decise di andare in missione religiosa come evangelista tra i poveri minatori del Borinage o quando lasciò la casa paterna per dipingere i contadini, i pescatori, i mangiatori di patate, in una parola gli oscuri personaggi del Nord olandese. In definitiva, la sua carriera di artista è la manifestazione di un profondo dramma religioso-morale avente come scopo assoluto quello di darsi agli altri, di amare ed essere amato, in cui l’arte non viene vista come una prova di abilità o come un mezzo per vivere ma come un modo per comunicare il bene.
Anche quando a Parigi abbracciò l’arte del suo tempo le si abbandonò per trasformarla attraverso i sensi, il mondo del colore e della luce che non aveva ancora conosciuto sotto i cieli tetri della sua Olanda. Così pure i suoi lavori realizzati ad Arles in Provenza dove si trasferì dopo Parigi in una sorta di esilio pittorico, è un’arte nuova che pur ricordando i suoi dipinti olandesi, risulta infusa da uno spirito fortemente umano che si esplica nella realizzazione di ben 46 ritratti di 23 persone diverse compreso se stesso; e questi ritratti non sono eseguiti su commissione ma per libera scelta dell’artista e con soggetti per la maggior parte di gente semplice come i contadini; è il desiderio di amicizia e di affetto ciò che giustifica il ritratto perché –dice lui stesso- “vorrei dipingere uomini e donne con quell’eternità il cui segno era una volta l’aureola e che ora noi cerchiamo nello splendore dei nostri colori”.
E’ noto che la sua attività fu spesso interrotta da attacchi di pazzia che lo portarono dapprima al ricovero presso l’ospedale di Arles e poi in un manicomio di Saint-Remy; si trattava probabilmente di attacchi epilettici che non gli hanno impedito, però, di eseguire alcune delle sue opere più note le quali, pur non avendo lo stesso carattere dei dipinti di Arles, hanno aspetti di una tesa intensità facilmente collegabile alle sue condizioni di salute: in questo periodo fu attirato soprattutto da paesaggi instabili, ingannevoli e convulsi la cui intensità si è trasferita dai colori vivaci di Arles al movimento dinamico delle forme espresso con una pennellata più incisiva e pronunciata; se ad Arles la chiave era quella del colore con una speciale predilezione per il giallo luminoso dei “Girasoli”, a Saint-Remy il colore si fa più difficile ed elusivo con toni spezzati, come nel dipinto “Uliveto”, congeniali al suo stato d’animo del momento che gli faceva ricercare nell’oggetto reale e ben delineato quell’equilibrio che sentiva venirgli meno dentro.
Si comprende, allora, perché egli chiamasse “astrazione” la pittura di immaginazione anche se raffigurava forme viventi e perché anche il suo ultimo lavoro “Corvi sul campo di grano” raffiguri con tormentata vivacità un paesaggio concretamente da lui vissuto.
Questa stretta interazione tra gli stati d’animo dell’artista e le sue opere vengono sapientemente colte in una mostra che si aprirà a Padova il prossimo ottobre dal titolo “Van Gogh.I colori della vita” in cui saranno esposte 78 opere dell’artista insieme ad altre di pittori del suo tempo nonché di Francis Bacon e del giapponese Hiroshize che in qualche modo molto si avvicinano a quelle di Van Gogh.