Un Ulisse da spiaggia
Uno spettacolo divertente, grottesco, ilare, tragicomico questo LidOdissea della coppia Berardi Casolari, in cui la frenesia nevrotica si alterna al pettegolezzo, alla quotidianità domestica, ma che nell’impianto visivo trascolora continuamente in poesia, a partire dall’inizio dove un telo di plastica fatto ondeggiare sul pavimento, apre le danze, introducendo rumori di vento sabbia, e della risacca, con effetti di lontananza e
solitudine. Sembra il mare eterno, non un lido turistico. Sembra l’ampio mare aperto del
folle volo ulisseico, e la proda solitaria di approdi all’ignoto.

E se la famiglia Ulisse qui spiaggiata, su un moderno lido, forse una famiglia meridionale, forse romanesca, certo una famiglia disfunzionale, attualizza in chiave trash le vicende ulisseiche, l’aura mitologica aleggia nel retrobottega, tra la mestizia moderna del nonsense, e l’elegia del destino, incarnandosi nel transito a più riprese, come a scandire i fotogrammi, a passo lento e muto, dell’aedo, del cantore cieco (e qui letteralmente la splendida Silvia Zaru, nella vita, cieca è). La Zaru passa e ripassa,
appoggiandosi a un bastone, e canta tristi melodie etniche, brani soul, e alla fine D’a mae riva, di De André. E’ una figura misteriosa. Potrebbe essere Omero, l’autore certo dell’Odissea, ma soprattutto il poeta cieco, che nella sua cecità legge meglio i tormenti dell’anima. O potrebbe essere la cecità del fato, l’inesorabile, il rappresentante della moira, il portavoce delle parche, del destino, che per quanto tu tenti di disfarlo, sempre si ritesse, come la tela di Penelope.
Così l’Ulisse fanfarone da spiaggia che domina agli inizi, seppur pian piano già corroso dalla noia, ed inquieto, ma certo ancora comico, nel finale volge rapidamente al tragico, all’avvitamento paradossale, e si inabissa come un piccolo Achab, cocciutamente nell’abisso di se stesso. Telemaco è morto, e Penelope smette l’amore e la pazienza, e lo lascia. Lui chiede scusa, a tutti, ma pure si agita rabbioso.
“Vai, vai!! Chiede e non chiede, perché, dantescamente, non può smettere di essere se stesso. “Vai, vai !! Tanto io ricomincio .. in questo vuoto dorato nessuno è mai! […] Le scuse sono splendide. Io mi immergo nelle scuse. […] Chiedo scusa e vado avanti, fino a toccare quel punto profondo di questa vita, lo scuro abisso, da cui partire, per riuscire un giorno a smettere di essere nessuno.”
Genialmente gli autori rovesciano l’affascinante trovata con cui Ulisse si fa beffe del ciclope, trasformando il non-nome nel moderno tormento dell’identità, ed alla fine della ricerca del senso. Non più avventura e ingegno, ma angoscia, l’ansia di vincere l’abisso dell’inconsistenza, dell’assenza di significato. Chi siamo noi su questa terra, e cosa il viver nostro? Così è per l’Ulisse mitologico. Così è per Leopold Bloom in Joyce. Così per l’uomo qualunque, da spiaggia.
Tutti si agitano
Lui (un ipercinetico ed ipermimico stupendo Gianfranco Berardi, anche lui cieco) si lamenta di una Calipso soffocante e appiccicosa, ma anche della propria dipendenza dai social, ma nella noia da spiaggia rimane folgorato, impenitente femminaro, da una minorenne: Nausica.
Penelope, una abilmente mesta e materna Gabriella Casolari (poi metamorfica nell’incarnare di volta in volta Calipso e Circe), Penelope, madre e moglie, sgrida Telemaco, calunnia Calipso, attende paziente la fine delle scappatelle.
Sa che lui tornerà.
Ma non regge la morte di Telemaco, ben reso nella sua inquietudine adolescenziale da Ludovico D’Agostino, che oscilla tra lamento e progettualità, per es rappando alla Caparezza il suo sogno di navigare col padre.
Una morte e una figura super trash quella del figlio, crocefisso tra Edipo e ricerca del padre. Così, se bestemmia contro Antinoo (uno dei proci), che urla col cazzo di fuori alla finestra della madre, poi sogna di navigare i mari col padre, di farsi uomo (Gita al faro, di V.Woolf?).
Ma la sua morte… Grottesca e trash.
Ha preso di nascosto l’auto del padre, per scarrozzare la sua ragazza, che gli fa un pompino mentre guida. Ne è così fiero che vuole immortalare l’atto con un selfie, e dimentica di guardare la strada, incontrando così abbaglio scontro frontale morte. Una morte tragica e ridicola al contempo, come la vita.

E così è tutto – un altalena di paradossi e registri – in questo spettacolo, dove la scarna scenografia di tre porte cabina viene usata per nascondimenti, per danze d’avvitamento, come appoggio di una storia di pupazzi di pongo, e dove ogni tanto i personaggi si accasciano tristi ai piedi dell’altro, o spariscono coperti da teli, o navigano davanti e dietro la trasparenza di una grande vela quadrata, come quando la
madre di Ulisse si manifesta come lontananza e struggimento al figlio, figura della morte.
In mezzo anche perle comiche, come quando figlio e padre condividono un imbestiamento da tifosi (dove il calcio sostituisce il sesso) e indossato naso da maiale stanno ora dietro una grata, mentre Circe conciona sull’irredimibilità del maschio.
Lei non voleva essere come i genitori ed in genere come le generazioni precedenti, dove le donne accudivano i maschi. Ma con Ulisse ci casca. La lusinga dicendole che sa ascoltare, e lei finisce per essere muta, solo ascolto.
Insomma una Circe emancipata, e anche comica, che non crede più neanche all’inganno ulisseico, e smaschera anche in lui il maiale egoista.
In definitiva tutti lo lasciano questo Ulisse sempre più in crisi, e pure irredimibile, e benché non demorda, lo sfinimento, dopo l’ultimo monologo di ribellione, lo accascia.
Ora è a terra, e con dolcezza, in dissolvenza, il telo dell’inizio lo ricopre, mentre la pace
della risacca riavvolge il nastro.
Solo questa volta, inquietante, di sottofondo, un rombo, per una pace che pace non è.
E gli applausi al naufragio sono generosi.
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LidOdissea. Testo e regia, Gianfranco Berardi e Gabriella Casolari. Con la collaborazione di César Brie. Con Gianfranco Berardi (Ulisse), Gabriella Casolari (Penelope, Calipso, Circe), Ludovico D’Agostino (Telemaco), Silvia Zaru (aedo) – Elaborazioni musicali, Ludovico D’Agostino. Disegno Luci, Mattia Bagnoli. Assistente alla regia, Viola Lucio – Costumi, Giada Fornaciari – Decorazioni di scena, Sara Paltrinieri – Organizzazione, Benedetta Pratelli, Produzione IGS APS, Fondazione Luzzati Teatro della Tosse, Teatro Stabile Friuli Venezia Giulia, Manifatture Teatrali Milanesi, MTM Teatro, Accademia Perduta, Romagna Teatri SCRL, Comune di Bassano del Grappa – Con il sostegno del MiC – DIREZIONE GENERALE SPETTACOLO e del Centro di Residenza della Toscana (Armunia – CapoTrave/Kilowatt), Comune di Sansepolcro. Si ringrazia il Teatro dei Venti – Teatro Palladium, Roma, 22-23 marzo 2025