Dal 23 al 26 febbraio al Teatro Marconi è andato in scena “Una pura formalità” per la regìa di Roberto Belli con Claudio Boccaccini, Paolo Perinelli, Andrea Meloni, Paolo Matteucci, Riccardo Frezza.
Piove, piove moltissimo, talmente tanto che l’acqua è entrata anche a teatro. Per raccoglierla ci sono dei secchi che si riempiono e vanno svuotati. Aperto il sipario ci siamo trovati in un commissariato umido, peno di faldoni, precario. La storia è complessa, tortuosa e si snoda intorno alla memoria del protagonista, il “grande scrittore” Onoff .
Quello portato in scena è un tempo sospeso, una notte che non finisce mai. Un lunghissimo interrogatorio in cui lo spettatore è catturato fino all’ultimo per capire, per poter ricostruire, con il commissario cosa è accaduto poche ore prima nel bosco.
La vicenda è tratta dall’omonimo film del 1994 diretto da Giuseppe Tornatore ed interpretato da Gérard Depardieu e Roman Polański. A larghe linee, nelle situazioni e nei dialoghi, non ci sono apparentemente differenze con la pellicola. Il film è un grande film e sicuramente portare sul palcoscenico un lavoro del genere non sarà stato sicuramente facile. Ci troviamo di fronte ad una sfida, che si misura con il teatro come mezzo espressivo, esplorandone e sfruttandone il meglio che ha da offrire.
Questo perché il cinema e il teatro non sono la stessa cosa ed è in questa differenza di potenzialità e ricchezze che risiede il valore di questo spettacolo. La scena, di Eleonora Scarponi, si può dire che sia stato il vero elemento tra schermo e palcoscenico. In primis l’acqua, che non era rappresentata ma portata fisicamente sul palco. Oltre a questo si aggiungano gli elementi scenici e i loro colori saturi tutti atti a creare quella sensazione di precarietà fondamentale della storia.
In particolar modo da notare sul palco l’armadio inclinato che contribuiva ancor più a creare quel senso dell’obliquo che toglieva la sicurezza di uno spazio finito. In questo la scenografia poteva tranquillamente evocare certi elementi del cinema espressionista. Ma qui non siamo in un mondo gotico, una macchina da scrivere ci ricorda il Novecento.
Il personaggio che più si discosta dalla pellicola è il protagonista – Onoff – interpretato da Claudio Boccaccini. Al Marconi è stato reso con sfumature tutte particolari: ne è risultato un uomo molto più stanco della vita, molto più annoiato, molto più stufo di quel lungo interrogatorio. Onoff era qui non più di un tanto preoccupato o impaurito, ma direi quasi borioso: quella boria di chi è famoso ed è – almeno superficialmente – sicuro del proprio successo.
A gran sorpresa il finale – che anche nel film rimane in parte sospeso e aperto – è stato efficacemente trasposto sul palco. Un rapido gioco di luci ad evocare il ribaltamento di prospettiva. Questa scelta ha spiazzato il pubblico concludendo la rappresentazione con numerosi spunti di riflessione.
Il commissario, interpretato da Paolo Perinelli, era molto simile a quello che si può vedere nel film. Un uomo deciso ma anche socievole, aperto al dialogo ma determinato a voler risolvere il caso.
Il cinema trasportato a teatro, felice incontro di due arti.