Una laurea honoris causa al riformatore di Thomas Bernhard

La cronaca impone una premessa.

Il cartellone annunciava Glauco Mauri al fianco di Roberto Sturno, ma un’indisposizione ha costretto Mauri, novantadue primavere, a dare forfait. Pur se la delusione tra il pubblico è parsa tangibile, il testo di Thomas Bernhard è andato ugualmente in scena. Il ruolo del protagonista, infatti, era affidato, come da regia, a Roberto Sturno, mentre Mauri avrebbe dovuto partecipare alla pièce con un cameo, quindi la sostituzione è stata possibile. In teatro, quando l’attore protagonista non può entrare in scena per motivi di salute, solitamente si annulla lo spettacolo. Non ce n’è stato bisogno. Comunque, auguri a Glauco Mauri di pronta guarigione.

Il riformatore del mondo, testo del 1979, è una sorta di summa dell’opera di Bernhard, in cui confluiscono tutte le caratteristiche principali della sua produzione letteraria: l’odio per la vita, il soliloquio, la solitudine, la malattia, il pessimismo nei confronti dell’umanità, il disprezzo per il prossimo e anche una nostalgica rabbia per un mondo mai vissuto. Il vecchio pensatore, uno spietato misantropo sopravvissuto a se stesso, sta per ricevere una delegazione comunale che gli consegnerà la laurea honoris causa per aver scritto un trattato ormai famoso su come salvare il mondo. Malgrado lo scetticismo, alle cinque del mattino, però, è già sveglio per prepararsi alla straordinaria cerimonia, che solitamente si dovrebbe svolgere in un’aula universitaria, mentre, per rispettare le sue precarie condizioni fisiche, la commissione è pronta a raggiungerlo in casa. Con lui, a fargli compagnia c’è una dama (che potrebbe essere moglie o figlia, o sorella) che lo accudisce, ma soprattutto che ascolta ogni suo pensiero condito dal gelo emotivo e dal più nero pessimismo. Tuttavia l’orgoglio di ricevere un simile riconoscimento regala al nostro un leggero entusiasmo, tanto che al piacere supremo di rileggere i suoi scritti, per una volta s’interessa al vestito da indossare. Le ore passano scandite da un orologio in scena. Nel frattempo le sue riflessioni (o meglio, elucubrazioni) prendono consistenza nella sala della sua solitudine, dove un trono sembra reggere il peso del cadavere di un uomo in bilico tra la vita che fu e la non vita che è.

Il saggio si fregia del supponente titolo «Trattato per il miglioramento del mondo»: già tradotto in 38 lingue, sarà il testo supremo su cui basare i nuovi insegnamenti, malgrado «le traduzioni siano nauseanti», proprio come la Svizzera che ha la coscienza sporca! Nel pamphlet si parla di storia «che ha uno stomaco di ferro» per le tante bugie che ha dovuto inghiottire; si parla di un’umanità poco umana che non riesce mai a dire una verità fino in fondo e che, anzi, lo spinge ad affermare che il mondo è una vera fogna. Il tema della verità è un altro chiodo fisso di Thomas Bernhard che, in alcuni suoi romanzi, vede il pianeta sommerso da una valanga di menzogne. Quando, al finale del Riformatore, gli uomini della delegazione, vestiti in abiti da cerimonia, sono lì davanti a lui con il rotoletto di pergamena da consegnargli, poche parole di costoro sono sufficienti per convincere il vecchio misantropo che, in effetti, si tratta di un falso clamoroso, dell’ennesima menzogna che gli uomini raccontano a se stessi. Per migliorare il mondo, ha scritto il nostro protagonista, occorrerebbe sterminare l’intera umanità: soltanto così si potrebbe recuperare il rapporto con madre-natura che ci ha creati, soltanto così si potrebbe rievocare la favola della grande Europa, culla di civiltà. Eppure un gruppo di professori è lì pronto ad insignirlo della laurea honoris causa, a lui che annuncia uno sterminio totalitario. Le risposte sono due: o nessuno ha letto il trattato, oppure quelli che hanno letto non hanno saputo leggere.

È la colpa della cecità dell’uomo, o della stupidità di certi uomini. Bernhard è stato sempre critico nei confronti del popolo austriaco acquiescente all’Anschluss prima e al Terzo Reich dopo. E per migliorare il mondo occorre sterminare questa cecità che ci impedisce di vedere la realtà malefica e ci allontana dalla nostra intelligenza. Ecco perché siamo niente.

Oggi, a oltre trent’anni dalla scomparsa dello scrittore, abbiamo chiuso ancor di più gli occhi, ci siamo allontanati maggiormente dalla natura, forse finanche dalla realtà, affidando la nostra vita sempre più a un’intelligenza elettronica, robotica e sempre meno umana.

Lo spettacolo, incentrato tutto sull’esperienza di Roberto Sturno, bravo e convincente, grottesco al punto giusto, risente di una regia (di Andrea Baracco) un po’ confusa tra ciò che accade in scena e il dietro le quinte: il gioco del metateatro non è chiaro, e sembra addirittura forzato che il servo di scena porga all’attrice l’oggetto richiesto facendo vedere soltanto le mani. Anche l’apparizione dei tre personaggi che formano la delegazione è incoerente: annunciati come fossero burattini, i tre vengono presentati nella più assoluta normalità. Ma forse è proprio la normalità la vera stramberia del teatro di Thomas Bernhard.

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Il riformatore del mondo di Thomas Bernhard, con Glauco Mauri e Roberto Sturno e con Federico Brugnone, Stefania Micheli e Zoe Zolferino; regia di Andrea Baracco. Teatro Tor Bella Monaca, fino al 30 dicembre.