“Diciannove” è un film esordio che indaga il disagio esistenziale di una gioventù tormentata
Diciannove è l’esordio potente e audace di Giovanni Tortorici. Una sinfonia di sensi, un inabissarsi nei turbamenti della giovinezza, affondando in un’accidia profonda e paralizzante per poi ridestarsi in una ricerca di piacere ed estasi esasperante e forzata. Un ciclico disordine esistenziale raccontato con forza, energia e sofisticatezza.
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Palermo, 2015. Leonardo è un diciannovenne che annaspa in un futuro incerto. Si reca prima a Londra dalla sorella, dove intende iscriversi in un’università del posto, ma dopo notti di baldoria e una prima fase di euforia ribelle capisce che l’Inghilterra non è per lui. Alla ricerca delle migliori università italiane di letteratura si reca a Siena, dove inizia seriamente a dedicarsi allo studio, ma scontento dei professori vacilla e cede al malcontento e alla pigrizia.
Palermo, Londra, Siena, Milano e Torino. Una sequenza di città dove si ambienta l’azione e che scandisce sia il ritmo del film sia lo stato emotivo e psicologico del protagonista. Se la luminosa Palermo è punto di partenza e successivamente parziale rinascita e riassetto dell’equilibrio, Londra, psichedelica con le sue luci artificiali sgargianti, è inebriamento ed euforia, caos sfrenato e notti insonni. L’assolata Siena si prospetta inizialmente come un tentativo di autodeterminarsi e trovare il proprio posto nel mondo, ma il tutto naufraga in un’abissale fase di accidia, noia e corruttibilità. Milano è decadenza e dissolutezza, un tentativo fioco di riflettere sulla condizione giovanile ai giorni d’oggi per poi riperdersi in una frenesia simile a quella londinese. Infine Torino, la summa di tutte le esperienze, una parentesi quasi surreale di indagine psicoanalitica, momento di confronto e consapevolezza.
Presentato al Lido nella sezione Orizzonti, Diciannove sviscera il tema del disagio esistenziale dei giovani. Ci immerge nella nuda e cruda essenza della loro indolenza, parlando di apatia e disillusione con intraprendenza ed efficacia stilistica e contenutistica.
Un soffio di morte penetra nelle viscere di Leonardo, nella sua mente turbata da contraddizioni e controsensi. È un classicista, un fautore della letteratura più tradizionale, che ama la morale e la purezza della lingua. Eppure i suoi desideri lo contraddicono continuamente, la sua smania artistica di controllo e ricerca del bello e buono degenera in impulsi lussuriosi, peccaminosi o autolesionisti. La morte diviene una parola da pronunciare con soddisfatta disperazione con tutti i suoi sinonimi e le sue varianti. Allo stesso tempo il suo anelito di arte e cultura si smorza schiantandosi contro le onde dell’ignavia.
I continui riferimenti a Dante divengono sottotesto di una condizione emotiva ed esistenziale dolorosa e tormentata, dominata da un desiderio di morte. Un inferno interiore che si somatizza nella percezione di un corpo malato, afflitto simbolicamente da ferite e cecità. La sapiente e dinamica regia di Tortorici sottolinea ripetutamente l’atto del guardare, la relazione tra stimolo e occhio e la risposta passiva che ne deriva. È uno sguardo spento quello di Leonardo. Raccoglie con apparente distacco informazioni che poi si trasformano in malessere e vergogna. Stimoli che sovrabbondano nell’era di internet e sembrano danneggiare e corrodere qualcosa di interno.
In Diciannove Si oscilla tra repressione e disordine, stasi e movimento frenetico, grazie a una regia dinamica e coinvolgente, capace di addentrarsi in tematiche complesse e sfaccettate, con eleganza, disinvoltura e originalità. Tanti gli stilemi adottati e le tecniche di montaggio a cui fa ricorso il film per esprimere fragilità e confusione o per esaltare il momento vissuto dai personaggi. Ralenti, avvicinamenti bruschi della macchina da presa al soggetto inquadrato, sovrimpressioni. Giovanni Tortorici sperimenta, osa. Ricostruisce con delicatezza e al contempo vigore l’inquietudine di una generazione tormentata.
Manfredi Marini interpreta Leonardo nel suo caleidoscopio di sfumature ed emozioni. È un’interpretazione essenziale e intensa, che mantiene sempre intatto il contegno quasi spocchioso del personaggio e la sua finezza, anche nei momenti più euforici o fisici. Lo sguardo spento e apatico, vuoto e smarrito, trafora lo schermo. Marini incarna perfettamente quella presenza assente che si evince anche da quelle parole a lui riferite nel film: “anche quando c’è in realtà non c’è mai veramente”. Un’evanescenza fisica e mentale che si percepisce a pieno grazie al lavoro di questo giovane attore, insieme alla malinconia, alla rabbia e alla frustrazione e repressione di istinti ed emozioni.
Il film è prodotto da Luca Guadagnino, la cui presenza si percepisce ampiamente nella cura formale in un racconto di formazione quasi iniziatico che si fa portavoce del destino dell’intera umanità.ì C’è la carica, il fascino seduttivo e l’azzardo vincente che distingue guarda caso proprio i film di Luca Guadagnino.
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Diciannove è un film di finzione che può assurgere però a inchiesta sulla giovinezza, sulle sue difficoltà e il disincanto che la tormenta. Una storia che analizza una problematica sociale sempre più urgente da affrontare.
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Diciannove scritto e diretto da Giovanni Tortorici con Manfredi Marini, Vittoria Planeta, Dana Giuliano, Zackari Delmas, Maria Pia Ferlazzo, Sergio Benvenuto e Luca Lazzareschi – Prodotto da Luca Guadagnino – Una produzione Frenesy Film Company, in coproduzione con Pinball London, in associazione con Memo Films, AG Studios, Tenderstories – Nei cinema dal 27 febbraio 2025