Una farsa senza tempo

Alularia, ovvero come rendere contemporaneo Plauto

In scena dal 21 al 25 febbraio presso la Sala Grande del Teatro Biondo Aulularia – fabula della pentola d’oro, di Tito Maccio Plauto nell’adattamento di Michele Di Martino, con la regia di Francesco Sala.

Paride Benassai ed Edoardo Siravo

Per mettere in scena una commedia scritta fra il 195 e il 184 a.C. ci vuole molto coraggio e una buona dose di bravura, per questo lo spettacolo del Biondo ha fatto il tutto esaurito. La commedia della pentola d’oro è riuscita ad incantare il pubblico grazie all’ inarrestabile bravura dei suoi interpreti, diretti magistralmente da Francesco Sala.

“Riproporre Plauto – spiega il regista Francesco Salasignifica consegnarlo all’attualità attraverso la sua originale contaminazione di generi, pastiches, musiche: il termine “farsa”, per i romani, significava piatto farcito. Plauto ha saputo giocare con gli ingredienti per primo, mischiando l’alto e il basso, impastando la raffinatezza geometrica delle costruzioni drammaturgiche elleniche alla Suburra.

Una tra le cose più evidenti in questa rappresentazione è, per l’appunto, il trionfo della fucina espressiva del genio di Plauto e l’immaginifica vivacità verbale dei diversi registri linguistici, citando Di Martino, il traduttore- Nel testo si dà spazio all’incomparabile forza evocativa del latino, con una significativa scelta di parole, espressioni, frasi dell’originale che sono incastonate nella traduzione italiana. In effetti, in scena ci accorgiamo come l’uso del linguaggio colto, il latino, si sposi perfettamente con il linguaggio più dialettale e contemporaneo del siciliano. Inaspettatamente comunicativi, i due livelli linguistici si intersecano e si interfacciano tra di loro, lasciando il pubblico piacevolmente stupito. Nella maniera più naturale possibile, i dialoghi tra i vari personaggi in scena riescono a rompere la cosiddetta quarta parete ed arrivare al pubblico, seduto in platea. Assistiamo a giochi di parole, doppi sensi, equivoci, il tutto risulta essere una commedia brillante, viva, capace di esprimere pienamente le invenzioni drammaturgiche e gli stati d’animo dei vari personaggi.

La commedia doveva suscitare nel pubblico un sentimento di qualche sorta, e Tito Maccio Plauto adatta i temi e i personaggi greci al pubblico romano, ma quello che Plauto riesce a fare con le sue opere è evolvere il rapporto della società romana con il teatro. Proprio per questo a Plauto vengono attribuite centotrenta commedie, ma solo ventuno sono giunte fino a noi. Nel confronto constate tra teatro e sociĕtas, il teatro riusciva ad avere piena concretezza, oggi come allora nella messa in scena al Teatro Biondo, ci siamo sentiti parte della rappresentazione come parte di una società, misantropa ed egoista ma, più che mai, calata nell’oggi.

Come rendere un testo antico contemporaneo? Lo abbiamo visto in questo spettacolo che, già dal titolo, ha come tema centrale l’avarizia, legata spesso alla misantropia, al sospetto, alla paura collerica dell’essere defraudati. In scena vedremo l’avaro Cacastecchi, personaggio tra i più riusciti ed imitati e interpretato da Edoardo Siravo, cui si ispirarono persino Shakespeare e Molière, scontrarsi e tentare di proteggere quella che è la sua più grande conquista: la pentola d’oro. Talmente ossessionato da questa che le riserverà ogni cura e attenzione, preferendola persino alla figlia, promessa sposa del vecchio e ricco Miraglione, interpretato da Paride Bennassai. Sulla scena assisteremo al binomio dei servi scaltri e dei padroni malmostosi e incattiviti dal potere, in una girandola di sketch, equivoci e furberie che porteranno questa pièce teatrale ad un livello che mai ci si aspetterebbe.

Antonio Pandolfo ed Edoardo Siravo

L’unica nota dolente sono le scenografie, di Luca Mannino realizzate in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Palermo. Se non fosse che per la rilevante collaborazione con l’istituzione accademica, che con quest’opera ha dato un ulteriore possibilità agli allievi di confrontarsi con un Teatro Stabile, ci si stupirebbe che sia stato pensato un apparato scenico così di bassa qualità. Gli alberi, con un vago riferimento alle scene di Bob Wilson, sono nella realizzazione visibilmente scadenti. Ci si aspettava, persino un distaccamento dal classico apparato scenico delle due quinte e un fondale, dato che si tratta dell’Accademia di Belle Arti, al cui interno i docenti dovrebbero essere lungimiranti e calati nel contemporaneo. Sembrava di assistere ad uno spettacolo di una compagnia itinerante, ma solo per quanto riguarda la scena. Avrebbero potuto osare molto di più!

Molto probabilmente manca la parte legata al teatro contemporaneo, di ricerca, di cui l’accademia di Palermo è ormai carente da anni, complice un istituzione antica che vuole restare tale, ancorata ai suoi porti sicuri e a un tipo di lavoro classicista e stantio. Lo ha dimostrato in recenti occasioni, sempre allo stabile di Palermo, con lo spettacolo della Sirenetta in Sala Strehler. Probabilmente bisognerebbe che i docenti che insegnano all’interno di questa Accademia prendano per mano i loro studenti e li conducano, con più coraggio, verso le derive del teatro contemporaneo, dato per scontato che loro le conoscano. Al contrario molto belli i costumi, disegnati e realizzati da Dora Argento, che riprendono quelli della tradizione classica rivisitati.

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Alularia. Fabula della pentola d’oro, dal testo di Tito Maccio Plauto, regia di Francesco Sala, traduzione e adattamento Michele Di Martino, con Edoardo Siravo, Antonio Pandolfo, Stefania Blandeburgo, Gabriella Casali, Paride Benassai, Marcello Rimi, Simona Sciarabba, Domenico Ciaramitaro. In scena dal 21 al 25 febbraio, Teatro Biondo Palermo.

Foto di copertina © Rosellina Garbo

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Davide Tovani

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