Un surreale al servizio dello sberleffo della realtà

Il futurismo senza futuro

Dalle tavole del Teatro Arcobaleno, Antonello Avallone, unico interprete di questo spettacolo-omaggio, ci vuole parlare di questo grande e controverso interprete del teatro contemporaneo: Petrolini.

Antonio Avallone in ” Io, Ettore Petrolini”

L’accento dello spettacolo – Io, Ettore Petrolini– come si intuisce subito, è più sull’Io del titolo: certo non possono mancare (e non mancano) i suoi sketch, le sue parodie, le sue canzoni, i suoi sberleffi, ma la luce dell’insieme è tutta rivolta alla figura dell’Uomo. Tanti ci avevano parlato di lui, facendolo conoscere alla generazione del Dopoguerra, che di lui avevano al massimo sentito parlare: da Fiorenzo Fiorentini a Gigi Proietti e Nino Manfredi e da ultimo anche Massimo Venturiello (con lo spettacolo Chicchignola, quello che però rappresenta una svolta eterogenea nel suo fare spettacolo). E tutti avevano ripercorso quel repertorio strano e unico nel panorama artistico del nostro tempo, senza troppo soffermarsi sul contesto e sulla dimensione umana dell’Artista.

La scelta giusta operata è stata quella di non andare a concorrere con i tanti epigoni petroliniani, di cui ormai conserviamo ampia memoria, ma piuttosto di aprire una finestra di luce sul resto da dire. E così la proposta si apre a una intensa serie di riflessioni, ciò che di solito rappresenta il premio per lo spettatore che compie il rito della uscita serale per prendere posto a teatro.

Così vediamo in esordio di scena Avallone-Petrolini farsi largo tra la nebbia metaforica che segnala la reviviscenza, su un palcoscenico forse in attesa di altri, come se lui fosse sopraggiunto dallo scarto di un’epoca precedente, intrattenersi con il pubblico contemporaneo in una sessione di memoria, a ripercorrere la sua parabola artistica. Qualche baule e pochi abiti di scena sollecitano la progressione narrativa, fin dalla gavetta iniziale negli spazi popolari della Roma ancora intrisa delle scorie ottocentesche, prima di approdare alla dignità e ai fasti delle ribalte più in voga. Il ricordo si infiamma quando prendono vita le maschere grottesche partorite dalla sua vena popolaresca, naturalmente portata allo sberleffo e alla rappresentazione della stupidità e delle debolezze del contesto umano: da Giggi er bullo a Fortunello, fino ai celebratissimi Gastone e Nerone.

La vena malinconica all’interno del ciclo dei ricordi si schiude allorché il racconto si sofferma sul momento in cui ad accorgersi della sua unicità era stata la più grande delle avanguardie del tempo: il Futurismo. Lo stesso Filippo Marinetti lo aveva celebrato come il Vate del nuovo Movimento, con le sue parodie alogiche, votate al dinamismo e alla causticità (Avallone ce ne offre un perfetto assaggio proprio interpretando Fortunello), in perfetta linea con gli enunciati di quel loro Manifesto. Ma nella sua insistita rivendicazione di aver elaborato quelle figure tanto celebrate -ben prima dell’avvento del movimento futurista- c’è tutta la mestizia di un artista che sente di essere stato derubato in fondo della propria visionarietà d’anticipo sui tempi, capace perfino di scolpire la figura di Nerone, metafora involontaria del Duce, già dal 1917, cioè qualche decennio prima dell’ascesa del Regime. La rivendicazione della dotazione della propria lungimiranza d’artista, non disponibile a lasciarsi alienare da una corrente tutto sommato condannata alla fugacità della sua sorte di semplice trastullo per quel tempo di transizione, ci consegna il pieno delle riflessioni all’uscita.

Antonio Avallone in “Io, Ettore Petrolini”

Antonello Avallone conferma anche in questa prova la vasta gamma dei registri recitativi a propria disposizione, passando nella trama narrativa dall’uno all’altro senza far notare più di tanto le cuciture del racconto.

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Io, Ettore Petrolini di Giovanni Antonucci – Diretto e interpretato da Antonello Avallone – Teatro Arcobaleno dal 17 al 20 ottobre