Un Pasolini mai desacralizzato: incisivo, sacro, poetico

Un profeta mai smentito, spesso addomesticato dalla fama.

Onirico. Di cristallo. Commovente. Il ritratto visivo e poetico che Fabio Condemi e Gabriele Portoghese hanno montato sulla figura di Pier Paolo Pasolini, e che gira le scena dal 2019 (e ora al Teatro Vascello di Roma) non ha mietuto altro che sfolgoranti consensi. 

Diciamo che si può consentire. 

E’ una sintesi credibile e poetica di alcuni dei punti salienti del pensiero e dei vissuti di Pasolini. E’ teatro? Lo è nel senso che Pasolini autoinscenava il proprio pensiero e vissuto in termini tragico lirico polemici. Il mondo è l’avversario, l’artista il martire ed il lottatore, il passato e la vita il sogno. L’opposizione teatrale, l’ostacolo che muove la scena della narrazione, è tutto intrinseco al punto di vista dell’autore, senza che questo venga messo minimamente in questione. All’interno di questo assunto santificante, dove Pasolini oscilla tra sogno, profeticità e martirio, tutto funziona, ed i nessi sfolgorano con intensità, ed alcuni tratti dell’opera e del pensiero acquistano nuova evidenza ed intensità.

Come ormai spesso a teatro, l’attore è aiutato da un impianto visivo, che qui si avvale di proiezioni su uno schermo fisso, a cui spesso Portoghese si rivolge, protendendosi, mentre parla al microfono. Sono equivalenti onirici – naturalistici, pittorici, cinematografici – di quanto si viene montando, nel collage narrativo di una vita a sua volta per equivalenti in opere (molto da sceneggiature realizzate o progettate di suoi film, qualcosa dalle sue interviste e dalle poesie). I filmati sono onirici nel senso che sono spesso ondeggianti (nello stile della camera a mano), ma anche fondati su primi piani invadenti, o su riprese raso terra, che trasfigurano acqua ed erba in stile tarkovskiano, secondo quel dettato del pensiero pasoliniano, che qui più volte riemerge, per cui la natura il vivente lo sguardo, hanno a che fare col sacro.

Le tematiche sono il paradiso materno (natura) e la caduta (Edipo), la pedagogia del sacro, l’innocenza erotica degli adolescenti primitivi, l’eterna violenza del potere ed il martirio dei ribelli, l’arretratezza italica, l’omologazione consumistica come vera violenza del potere, il terzo mondo che divorerà l’Occidente. Tutto questo, in sequenza, attraverso frammenti dai film Edipo re (1967), Medea (1969), Il fiore delle mille e una notte (1974), San Paolo(progetto 1968-74), La ricotta (1963), dal documentario 

La forma della città (1967) e dalla poesia Profezia, nota anche come Alì dagli occhi azzurri (in Poesia in forma di rosa, 1964).

La scena è minimalista, spazio vuoto delle proiezioni.

A sinistra un rettangolo di terra, con erba alta (l’Eden, l’infanzia?), dove si giace e da cui si leva Gabriele Portoghese, voce incarnata del poeta, ondeggiando vibratile ed umile (camicia bianca contro bianco schermo), attraversato dalla propria voce emozione, voce gesto, ora sognante ed incalzante, ora tremula, smarrita, angosciata, ora esplosa in enfatici ritmati spingenti crescendi persecutori dove l’invettiva politica prevale.

Al centro, nell’ombra, a terra, il volume delle poesie di Pasolini, come una Bibbia.

A destra, su un cubo, un vecchio proiettore.

Se dovessi dire comunque, non tutto Pasolini ci piace, e di pari passo anche il collage ha in tal senso alti e bassi. Sicuramente infatti benché ritorni a due riprese (con Il fiore delle mille e una notte) il tema dell’eros con gli adolescenti di un altrove (Il Cairo), il tutto risulta un po’ retorico. 

Prima giocano a pallone, e lui carezza in scena un pallone (la semplicità del gioco?). Poi si masturbano. Poi lui gli parla in modo incongruo di arte e politica. Poi li bacia. 

Poco coinvolgente nella sostanza e visivamente.

E’ interessante tuttavia dal punto di vista del montaggio, che diventa il montaggio della contraddizione tra sogno, velleità pedagogiche e dura realtà. 

Non a caso infatti Pasolini coi ragazzi fa la figura dell’intellettuale astratto, predicatorio, in contrasto alla loro elementarietà naturale incontaminata (pseudo). 

Tra i due momenti, pallone-gioco-masturbazione e predicazione politica-bacio si inserisce infatti il primo frammento dal film su San Paolo, qui attualizzato come un partigiano francese, catturato dalle SS e processato.

Anche San Paolo, che ritorna poi in un altro frammento, viene dipinto come un predicatore astratto, ma nella seconda comparsa diventa il martire, il Cristo, linciato

da un ipotetico simbolico proletariato fascista, e giace a terra, con le croste di sangue.

Se si tiene conto che il progetto del film – mia realizzato – prosegue fino al 1974, appare impressivo come Pasolini sembrasse preconizzare la propria fine, fin quasi nei particolari. 

Quindi il secondo momento coi ragazzi del Cairo, col suo mix di politicità irrealistica ed eros, anticipa la deriva politica del discorso. Seguono infatti brani da Ricotta, con le sue invettive contro la religione, la borghesia italica, il regista (Orson Welles), controfigura di Pasolini, che si definisce una forza del passato, il discorso sull’omologazione consumista ( a partire dalle interviste sulle città e dal discorso su Sabaudia).

In definitiva il montaggio parte da due sogni feriti, l’eros innocente e l’infanzia (all’inizio il bimbo cullato dalla madre poi vive il terrore dei botti, e l’angoscia del sesso tra i genitori), per poi virare all’esplosione della sconfitta dell’uomo e della rivincita delle idee.

Prima abbiamo la bufera energetico messianica, lo scatenamento furioso e pressante della voce di Portoghese che ci butta addosso, in ginocchio, leggendola dal libro come da una Bibbia, la poesia Profezia.

Uno la può anche conoscere, forse ricordare, ma alla luce dell’oggi, sfolgora impressionante per l’aderenza iperrealistica più che visionaria.

Alì dagli Occhi Azzurri / uno dei tanti figli di figli, / scenderà da Algeri, / su navi

a vela e a remi. / Saranno con lui migliaia di uomini / coi corpicini e gli occhi di poveri cani / dei padri sulle barche varate / nei Regni della Fame. / Porteranno con sé i bambini [ … ] Sbarcheranno a Crotone o a Palmi, / a milioni, vestiti di stracci, / asiatici, e di camice americane. [ … ] / Essi sempre umili / essi sempre deboli / essi sempre colpevoli / essi sempre sudditi [ … ] usciranno da sotto la terra per rapinare — / usciranno dal fondo del mare per uccidere — scenderanno dall’alto del cielo per / espropriare— e per insegnare ai compagni operai la gioia della vita – / per insegnare ai borghesi / la gioia della libertà – / per insegnare ai cristiani / la gioia della morte – / distruggeranno Roma 

E’ un uragano, una maledizione bibblica. 

Non è possibile l’Eden alle spalle dei diseredati. Non è possibile l’Eden, ma solo il massacro. E qui con una delle poche azioni che non siano voce o immagine, Portoghese si scatena efficacemente come uragano della disperazione, distruggendo l’aiola dell’Eden, strappando e disperdendo l’erba, scalciando la terra in nuvole di rabbia e dispersione.

Poi ansante, al microfono si avvia alla teodicea del martirio, incarnando vocalmente maledizioni e pedagogismo politico mistico di San Paolo

“Dov’è morte la tua vittoria ?!”

Così San Paolo-Pasolini. Ma poi …

“ai pochi che erano venuti ad ascoltare Paolo si erano mescolati dei giovani dalla faccia oscura e feroce. L’azione è rapida, come nei sogni. Tutto accade fulmineamente sotto gli occhi distratti della polizia: l’assalto dei teppisti tra le urla di scherno e di rabbia; la fuga della povera gente; il pestaggio a Paolo. Un pestaggio freddo e macabro, da cui è dissociato ogni sentimento umano. Poi, gli aggressori, fulminei come sono venuti, risalgono sul loro camion: non senza che uno di loro, prima di andarsene, sputi sul corpo inanimato di Paolo. Nel sole accecante Paolo sembra morto: il suo corpo è inerte. Visto in primissimo piano è una maschera di sangue: grumi di sangue e polvere:  insopportabile alla vista e irriconoscibile.“

A questo punto la scena implode in un punto di luce nel buio. 

Portoghese sta seduto di fronte al proiettore, e la sua camicia bianca (il volto in ombra) diventa luogo di proiezione dei sogni.

E’ la vittoria del sogno sulla morte (“Dov’è morte la tua vittoria ?!”)

O è la fucilazione del quadro di Goya, il petto fosforescente offerto alle pallottole del sogno?

Del resto nel progettato film San Paolo diventava un partigiano fucilato.

Insomma. Il pensiero e le contraddizioni di Pasolini, in questo spettacolo si fanno meritoriamente sussulto poetico e riviviscenza attualizzante di alcune sue tragiche intuizioni, corporeamente patite.

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Questo è il tempo in cui attendo la grazia – da Pier Paolo Pasolini – con Gabriele Portoghese – drammaturgia e montaggio dei testi Fabio Condemi, Gabriele Portoghese – regia Fabio Condemi – assistente alla regia Consuelo Bartolucci -drammaturgia dell’immagine Fabio Cherstich – filmati Igor Renzetti, Fabio Condemi  – Prodotto  per l’”Omaggio a Pier Paolo Pasolini” del 2019 – Teatro Vascello, 14-19.5.2024