Riccardo Polizzy Carbonelli e Marina Lorenzi portano in scena la vita di coppia tra ironia, emozione e verità nel testo di Tato Russo, diretto da Livio Galassi.
Dopo il successo ottenuto sui palcoscenici italiani, Un letto per due approda al Teatro Golden di Roma, portando con sé trentacinque anni di vita di coppia raccontati con ironia, dolcezza e verità. Protagonisti sono Riccardo Polizzy Carbonelli e Marina Lorenzi, coppia anche nella vita, che si ritrovano a condividere sul palco un viaggio attraverso il tempo, l’amore e le inevitabili trasformazioni che ogni relazione porta con sé.

Scritta da Tato Russo e diretta da Livio Galassi, la commedia intreccia leggerezza e malinconia, quotidianità e poesia, in uno spazio scenico essenziale ma simbolico: una camera da letto che diventa specchio di trentacinque anni di matrimonio, tra entusiasmi, crisi, riconciliazioni e risate.
In questa intervista, Riccardo e Marina raccontano la genesi dello spettacolo, il loro rapporto con i personaggi — chiamati significativamente come loro — e la magia di un testo che, tra humour e riflessione, invita a riscoprire il valore profondo del condividere la vita con un’altra persona.
“Un letto per due” racconta trentacinque anni di matrimonio, con i suoi alti e bassi. Da coppia anche nella vita reale, quanto di voi c’è nei personaggi di Riccardo e Marina?
Riccardo: Tato Russo, nella sua scrittura, ha voluto chiamare i personaggi proprio come noi, Riccardo e Marina. Non c’è solo qualcosa di condivisibile tra la nostra vita reale e quella dei protagonisti, ma un vero e proprio riflesso dei meccanismi che accomunano tante coppie. Meccanismi che, visti da fuori, possono sembrare buffi o teneri, ma che racchiudono anche momenti di confronto e di verità.
Abbiamo scoperto che la vita coniugale è una crescita continua, un rincorrersi per restare sempre al passo l’uno dell’altro. Quando uno dei due si ferma, nascono inevitabilmente delle distanze. Nella commedia, come nella vita, i nostri personaggi trovano sempre un modo per ritrovarsi e riscoprire quell’amore che li unisce come un collante.
Certo, ci sono momenti di entusiasmo e di felicità, ma anche di irritazione e di scontro. Come diciamo a Napoli: “Chi te sape t’arape”, chi ti conosce sa dove colpirti. Nella vita reale cerchiamo di evitarlo con attenzione, perché è troppo facile ferirsi. La vera sfida è superare i conflitti senza usare le armi che fanno male, cercando invece il dialogo. A volte ci riusciamo, a volte no… e allora ci si mette il broncio, proprio come i personaggi della commedia.
Marina: La forza della coppia sta nel tornare sempre alla scelta iniziale: ricordare perché si è deciso di vivere insieme. Qualunque scontro affrontino, i protagonisti riescono sempre a ritrovare quel collante che li tiene uniti — una cosa oggi rara, perché troppe coppie al primo ostacolo si dividono.
Con il tempo, le relazioni cambiano: ci si conosce meglio, si sa come ferire ma anche come ricucire. È questo ritorno costante alle origini che li salva ogni volta. Tato Russo è stato bravissimo nel costruire questa dinamica: ho lavorato con lui per otto anni, e conoscendo bene anche Riccardo è riuscito a inserire nel testo tanti dettagli autentici, colti con ironia e sensibilità.
La commedia ha un taglio fortemente femminile e uno sguardo sull’evoluzione della donna all’interno della coppia, mentre l’uomo resta un po’ più infantile. Per noi è una sfida interpretare cinque quadri che attraversano il tempo: i personaggi cambiano età e maturano senza artifici, solo attraverso costumi, voce e presenza scenica. Il letto al centro del palco, che ruota come la lancetta di un orologio, diventa la misura del tempo che passa, accompagnato dalle coreografie di Aurelio Gatti con le danzatrici dell’Incorporea Group.
Anche la scelta musicale è particolare, profonda, mai banale, e impreziosisce le scene più leggere. Infine, i costumi di Giusi Giustino — una vera maestra di eleganza, con una lunga carriera al San Carlo, nei musical e una lunga collaborazione con Tato Russo — riescono con pochi dettagli a far percepire il passare del tempo con grazia e raffinatezza.
Il testo di Tato Russo mescola ironia e malinconia, leggerezza e dolore. Come siete riusciti a mantenere l’equilibrio tra il sorriso e la riflessione?
Riccardo: Ogni sera è una sfida nuova, anche dopo tante repliche. Un letto per due è una commedia a tutti gli effetti, ma attraversa momenti di grande intensità, in cui l’ironia lascia spazio all’emozione e alla riflessione. Non significa intristire, ma toccare corde più profonde, quelle che appartengono ai rapporti umani e al loro continuo cambiamento.
L’equilibrio tra sorriso e malinconia nasce proprio da lì: dal vivere ogni scena come un passaggio reale di vita. Ogni teatro, ogni pubblico, ogni sera ci restituisce qualcosa di diverso. È un lavoro di ricerca continua, perché la perfezione non esiste: esiste solo la voglia di migliorarsi e di rinnovare, ogni volta, la verità di quello che si racconta.
Marina: È uno spettacolo che non si lascia mai “sedimentare”. Non abbiamo avuto il tempo di rodarlo davvero, e forse è proprio questo a mantenerlo sempre vivo, pulsante. Ogni replica è diversa, richiede attenzione, ascolto, precisione: non è una macchina che va da sola. Devi esserci totalmente, corpo e mente.
I cambi di ritmo, di tono e persino di costume sono rapidissimi, quasi da Fregoli! Non siamo certo trasformisti, ma ci sentiamo un po’ acrobati emotivi. E forse è proprio questa instabilità controllata che ci permette di mantenere l’equilibrio tra leggerezza e profondità, tra la risata e quel piccolo nodo alla gola che arriva quando riconosci qualcosa di vero in scena. Naturalmente chiediamo suggerimenti ad Arturo Brachetti che forse ci farebbero comodo.
La camera da letto è l’unico spazio scenico, luogo di intimità e verità. Come avete lavorato su questo “microcosmo” per renderlo vivo e teatrale, senza che diventasse claustrofobico?
Marina: La camera da letto è, da sempre, per me un luogo intimo e protetto, dove studio, leggo, rifletto. In scena, quel grande letto diventa quasi un terzo protagonista: è il fulcro di tutto, lo spazio in cui i due personaggi si incontrano e si scontrano, si amano e si feriscono. È un luogo chiuso al mondo esterno, dove solo loro due sanno davvero cosa accade. Ed è proprio questa intimità, così autentica e quotidiana, a renderlo incredibilmente teatrale.
Riccardo: Io invece ho un rapporto completamente diverso con la camera da letto. Per me è un luogo di riposo assoluto, di abbandono, dove riesco ad addormentarmi in un attimo. Non è mai stato uno spazio di studio o di concentrazione, ma di quiete, di ristoro e di piacere. Portare tutto questo sul palco, trasformando un ambiente così personale in uno spazio di confronto e tensione, è stata una sfida interessante: un modo per riscoprirne il valore simbolico e universale.
Livio Galassi firma la regia con un approccio molto visivo e simbolico. Qual è stata la trovata registica che più vi ha colpito o aiutato a entrare nel cuore della storia?
Riccardo: Vorrei partire da una premessa: questo spettacolo è nato davvero a tre mani, con Livio Galassi, Marina e me. Abbiamo lavorato insieme a lungo, in grande sintonia, prima ancora che arrivassero le ballerine coreografate da Aurelio Gatti. Trovare un’armonia così profonda non è affatto scontato: con Livio si è creata una vera empatia, un’intesa artistica rara. Lavorare con lui è stato un privilegio, perché è un regista colto, raffinato, con un’esperienza straordinaria accanto ai più grandi attori e attrici.
Quello che più mi ha colpito del suo approccio è la capacità di coniugare commedia, leggerezza e classe. Far ridere senza scadere mai nel facile o nel volgare è un’arte difficile, e Livio riesce a mantenerci sempre su un piano di eleganza e autoironia. Lo stesso Tato Russo, quando ci propose il testo, ci paragonò a quelle coppie teatrali brillanti ed eleganti di un tempo — e noi, con grande rispetto, ci siamo sentiti un po’ come Sandra Mondaini e Raimondo Vianello.
Marina: La trovata registica che più mi ha colpito, e devo dire anche un po’ spiazzato all’inizio, è quella del letto che ruota verso il pubblico, con uno specchio posto di fronte: il pubblico ci vede così riflessi, mentre parliamo o ci muoviamo. All’inizio temevo che questo potesse distrarmi, ma Livio è stato abilissimo nel darci libertà e nel far diventare questo espediente qualcosa di naturale e profondamente teatrale, ma sempre dentro una cornice protetta. Lo specchio, in fondo, diventa anche simbolico: riflette non solo i nostri personaggi, ma anche le loro fragilità.
Dopo aver attraversato sul palco trentacinque anni di un matrimonio, cosa resta — a voi e al pubblico — di questa lunga “favola moderna” sull’amore e sulla resistenza dei sentimenti?
Riccardo: Ci resta una grande speranza. La speranza che il pubblico, divertendosi e riconoscendosi nelle piccole manie e nelle goffaggini quotidiane dei personaggi, possa ritrovare il senso profondo del condividere la vita con un’altra persona. Oggi ci si lascia per un nonnulla, per un tubetto di dentifricio stretto a metà o per un momento di incomprensione, dimenticando che l’amore non è un sentimento perfetto ma un continuo esercizio di pazienza e di presenza. Questa commedia, pur nella leggerezza, ricorda che la chiave di tutto resta l’amore: non quello idealizzato o sdolcinato, ma quello reale, capace di resistere al tempo e alle imperfezioni.
Marina: Tato Russo ha costruito un testo in cui la frase “Tu sei cambiata – Ma anche tu sei cambiato” ritorna più volte, come un’eco che attraversa tutta la storia. È una battuta semplice ma profondissima, perché racchiude la vera sfida di ogni relazione: accettare il cambiamento, in sé e nell’altro.
Spesso quel “sei cambiato” diventa un’arma, un rimprovero. Invece dovrebbe essere una presa di coscienza, un atto d’amore. Perché si cambia, inevitabilmente — e solo riconoscendo questo mutamento si può davvero continuare a camminare insieme.
Riccardo e Marina, siete entrambi nati artisticamente in teatro e, ogni tanto, tornate “sul luogo del delitto” per non perdere le buone abitudini. Quanto vi manca davvero il palcoscenico? E tu, Riccardo, non temi che la televisione finisca, a volte, per fagocitare l’attore teatrale che è in te?
Riccardo: Quello che mi manca di più non è semplicemente “fare teatro”, ma farlo in quel luogo che per me ha rappresentato una vera casa: il Teatro Ghione. Mi manca profondamente Ileana Ghione — una grande insegnante, maestra, artista e donna straordinaria. Con lei non c’erano sconti: pretendeva disciplina, verità e dedizione assoluta, ma sapeva anche trasmettere un amore sincero per questo mestiere. Noi, allora, eravamo “la compagnia dei giovani”, poi siamo diventati — come dico spesso “la compagnia dei giovani arteriosclerotici del Ghione”. Dopo la sua scomparsa, nel dicembre del 2005, è cambiato tutto.
La televisione non mi ha tolto nulla, anzi mi ha dato moltissimo, soprattutto con “Un posto al sole”, che continuo a vivere come una grande palestra quotidiana. E proprio dopo l’ultima replica di “Un letto per due”, tornerò a Napoli per le registrazioni in Rai con una guest star d’eccezione: Whoopi Goldberg. Mi auguro che il teatro torni a essere un appuntamento fisso nella vita delle persone, come lo era un tempo, quando c’erano le stagioni, gli abbonati, la ritualità. Il post-Covid e le piattaforme hanno cambiato le abitudini: oggi si esce con un budget limitato e spesso si sceglie tra una cena e uno spettacolo.
Ma il teatro resta un’oasi, un luogo raro e prezioso come una riserva naturale del WWF. È lì che accade lo scambio vero, quello che ti fa emozionare e sentire vivo. Non per dimostrare qualcosa, ma per essere un tramite: far conoscere l’autore, la sua poetica, e permettere al pubblico di emozionarsi attraverso la parola.

Marina: Per me questa esperienza al Golden rappresenta una sfida affascinante. Un letto per due è stato concepito per un teatro tradizionale, con il palcoscenico, il sipario, le quinte una struttura “classica” che protegge e delimita l’azione. Qui, invece, tutto cambia: lo spazio sarà reinventato, il rapporto con il pubblico più diretto, quasi a contatto. Il regista Livio Galassi e il coreografo Aurelio Gatti stanno lavorando a delle soluzioni sceniche ad hoc, pensate proprio per questo contesto, e questo ci obbliga a rimetterci in gioco ogni volta, a non adagiarci mai. È la dimostrazione che il teatro, quando è vivo, sa trasformarsi e continuare a parlare con forza anche nei luoghi e nelle forme più diverse.
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Un letto per due di Tato Russo – Regia e scene di Livio Galassi – Con Riccardo Polizzy Carbonelli e Marina Lorenzi – Gli Incorporea Group – Coreografie- Aurelio Gatti – Realizzazione scenografica: Peppe Zarbo – Costumi: Giusi Giustino – Luci: Roger La Fontaine – Teatro Golden dal 13 al 23 novembre 2025





