Un anarchico in cantina: intervista a Emanuele Bilotta

A fine marzo abbiamo avuto modo di vedere al Teatro Pegaso di Ostia lo spettacolo Un anarchic9o in cantina scritto e diretto da Emanuele Bilotta. Ma come è nato lo spettacolo? Chiediamolo all’autore.

Siamo a Roma, negli anni di piombo, e in una cantina si cerca un attentatore. Lo cercano le forze dell’ordine, lo cerca la politica. Chi sarà? Questo è il tema intorno a Un anarchico in cantina lavoro scritto e diretto da Emanuele Bilotta. Questo spettacolo ci ha così colpito che abbiamo voluto approfondire la sua genesi con l’autore stesso, che abbiamo intervistato.

Ph. Valentina Paganucci

Cosa ti ha spinto a scrivere nuovamente una storia ambientata negli Anni di piombo? Ci viene in mente il tuo Aspettando Verità al Teatro Catartica.

Il decennio degli anni ’70 mi ha sempre affascinato molto, pur non avendolo vissuto in prima persona ho letto e studiato tanto di quel tempo e sono attratto sia dalle luci che dalle ombre che lo hanno segnato. Questo è il quarto spettacolo ambientato in quel periodo, infatti oltre ad Aspettando Verità, da te citato, ho messo in scena Ero 70, monologo di teatro canzone con David Capoccetti che ha debuttato al Teatro del Lido, sul fenomeno dell’eroina che ha sradicato una generazione in quegli anni e Chi è la Bestia? Manson vs Bugliosi, sulla vicenda della family di Charles Manson, semifinalista al Premio Scenario 2019, con David Capoccetti, Alberto Brichetto e Ludovica Resta. Amo raccontare la storia cercando un linguaggio teatrale che possa renderla affascinante agli occhi degli spettatori poiché è una materia che spesso risulta ostica o, quantomeno, priva di interesse. E questo spesso mi regala belle soddisfazioni, come una sera, dopo una replica di Ero 70 al Teatro Trastevere, in cui un ragazzo di 18 anni mi ha detto “La storia a scuola ce la dovrebbero raccontare così, ha tutto un altro effetto”.

Nella vicenda narrata, quanto è vero (cronaca del tempo) e quanto è nato direttamente dalla tua fantasia?

La storia che si sviluppa nel corso dello spettacolo è completamente inventata ma si muove su riferimenti frutto di attento studio del periodo e dei fatti di cronaca avvenuti all’epoca. I personaggi presentati sono il mezzo per parlare del fenomeno delle cantine teatrali, centro di sperimentazione di linguaggi artistici che hanno creato un fermento totale a Roma in quel periodo, della nascita del primo tifo organizzato presso la curva degli ultrà della Roma e, soprattutto, dello stragismo e di ciò che nascondeva dietro, all’indomani della strage di piazza Fontana. Quindi, personaggi inventati contestualizzati in eventi che hanno previsto una ricerca certosina di notizie ed elementi riguardanti i fatti di quel periodo.

Per questa storia ti sei ispirato a lavori teatrali precedenti? Se sì, quali?

La tecnica che ho voluto utilizzare è stata quella del “film dal vivo”, creare quindi una situazione molto reale, con scene anche di azione, con situazioni che avvengono in ambienti totalmente diversi contemporaneamente giocando solo con le luci, flashback e musica che accompagna in maniera quasi ossessiva ogni momento, che, solitamente, appartiene più ad un linguaggio cinematografico che teatrale. Una bella sfida poiché è semplice cadere nel ridicolo o, comunque, nel poco credibile quando metti in scena situazioni di tensione come sparatorie, sequestri e cose simili quando il tutto avviene nella stessa stanza condivisa con il pubblico e non dietro uno schermo. Un processo simile lo avevo già sperimentato ne L’Occhi de Roma, andato in scena nel 2019 a Essenza Teatro, in Chi è la Bestia? Manson vs Bugliosi e in Falliti, selezionato al Roma Fringe Festival 2022 e andato in scena pochi giorni fa al Teatro Trastevere.

Abbiamo avuto l’occasione di vedere “Un anarchico in cantina” al teatro Pegaso di Ostia: in quali altri teatri i nostri lettori avranno la possibilità di vedere questo tuo lavoro?

Sicuramente questa estate lo proporremo alla tenuta Monte Giove Biodinamico, a Lanuvio, in un contesto diverso, all’aperto, in un ambiente molto suggestivo, dopodiché non so. Lo spettacolo è nato lo scorso anno a Catartica Teatro, è stato riproposto quest’anno al Pegaso, l’idea è inserirlo nel cartellone di qualche altro teatro nella prossima stagione ma dovremo vedere. Io del teatro amo il processo creativo, non sono mai riuscito a considerarmi un professionista del teatro perché per me, finita la ricerca, le prove, lo studio, quindi il percorso che porta a crescere lo spettacolo e chi lo abita, una volta nato potrebbe ritenersi concluso dopo la prima replica. Alcuni spettacoli, come Processo a Mastro Titta, hanno superato fortunatamente (soprattutto per gli attori) le venti repliche negli anni, però non è una cosa che cerco. Io, dopo la prima, sarei pronto per andare avanti con un nuovo progetto.

Hai in cantiere altri progetti? Possiamo avere qualche anticipazione?

In questo periodo sono totalmente coinvolto in un progetto che debutterà questa estate, uno spettacolo di teatro/canzone, voce e chitarra, che racconta Gabriella Ferri a 360 gradi. Negli ultimi mesi mi ero un po’ disaffezionato al teatro, ma lavorare a questo progetto mi ha ridato tutta la passione e l’emozione che creare qualcosa produce. In scena Daniela Antolini, nei panni di Gabriella e Flavio Accorinti alla chitarra. Voglio rendere omaggio a un’artista che rappresenta Roma come pochi altri, sia nella sua personalità che nel suo essere artista e che rischia di finire nel dimenticatoio, ma che è amata da tantissime persone e che, credo, possa essere amata da chi ancora non la conosce. Un clown, un’anima bella, una persona vera e, nella sua verità, una persona anticonformista proprio perché vera. Poi Daniela, l’attrice che la interpreta, è in maniera impressionante vicina a lei, sia per i lineamenti del viso che per quelli dell’anima. Un viaggio che sto percorrendo con emozione continua, credo che sarà un bel regalo che faremo al pubblico.