Turandot en travesti, in scena al teatro dei burattini

La caratteristica principale dei componimenti di Carlo Gozzi (1720-1806, aristocratico scrittore veneziano, contemporaneo di Goldoni) è un sentimento di biasimo nei confronti di tutto ciò che è vero, autentico. Per Gozzi l’opera teatrale ha il compito di prendere gli spettatori per mano e portarli nel mondo delle favole, pieno naturalmente di colori e di effetti abbaglianti. Si racconta, infatti, che per l’allestimento delle sue rappresentazioni venivano ingaggiati abili fuochisti, incantatori e prestigiatori: tutti al servizio della meraviglia. Viene il sospetto che lo stesso Gozzi fosse cosciente della rozza arte dei suoi versi e dell’aridità della sua prosa. I soggetti delle commedie sono tutti ripresi dal teatro secentesco spagnolo e dalle favole narrate nel volume delle Mille e una notte. Proprio come la «Turandot» che Stefano Maria Palmitessa ha rispolverato in chiave assai grottesca trasformando il titolo al maschile: Il Turandot. E ovviamente nel ruolo protagonista è impegnato, en travesti, un giovane Pinco Pallino.

Sì, Pinco Pallino! E non me ne vogliate se ripeto e ripeterò all’infinito lo stesso discorso, finché non si ristabilirà il rispetto professionale nei confronti degli attori, i quali attraverso le locandine hanno il sacrosanto diritto di essere riconosciuti dalla critica e dal pubblico. Non è ammissibile che si elenchino in gruppo gli interpreti «senza specificare i personaggi, come se questo o quel personaggio fossero interscambiabili», sono le fresche parole di un’attrice, anch’essa inorridita da quest’ultima barbara usanza che calpesta «la nostra professionalità». Ha ragione, l’amica: gli attori vanno rispettati! Però, anche loro dovrebbero farsi rispettare: dunque, perché nessuno si ribella a questo ennesimo sgarbo?

Torniamo a «Il Turadot» in scena al teatro Le Salette fino a domani. Carlo Gozzi, in verità, viene ricordato più per essere stato il promotore di una rivolta intellettuale nei confronti dell’altro Carlo veneziano (il Goldoni, appunto), che per la sua produzione letteraria. Tuttavia, se del primo, oggi, bisogna specificare chi sia e cosa ha fatto, dell’altro sovvengono alla memoria decine e decine di titoli di opere teatrali che non conosceranno mai il tramonto.

Dicevamo del Turandot che Stefano Maria Palmitessa ha voluto «nascondere per rivelare» – come scrive nelle note di regia – celebrando l’antico teatro dei burattini in un ambiente scenico in cui gli attori sono visibili da mezzo busto in su, e soltanto per il tempo opportuno a pronunciare la battuta o il breve dialogo; poi ripiombano a nascondersi, più che a rivelarsi, dietro una bassa quinta nera che corre da un lato all’altro del proscenio. Proprio come i burattini. Infatti, il nome del Gozzi resterà negli annali per aver sollecitato e fomentato il fervore negli accademici dei Granelleschi, affinché si battessero contro il teatro di Goldoni accusandolo «di tradimento al buon gusto».

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Il Turandot di Carlo Gozzi, drammaturgia di Francesca e Natale Barreca; con Arina Sazontova, Giovanna Castorina, Alessandro Laureti, Mary Fotia, Marco Laudani, Carmen Pompei, Simone Proietti, Giovanni Prattichizzo. Regia di Stefano Maria Palmitessa. Teatro le Salette, fino al 5 marzo.