Tre simboli dell’Italia che si ribellano all’Italia

Al Parioli una commedia divertente e commovente. Regia di Piero Maccarinelli

Tre generazioni a confronto, tre simboli dell’Italia che si ribellano all’Italia stessa, alla sua storia, alle sue contraddizioni sociali, alle sue debolezze politiche. C’è molta speranza nel testo di Rosa A. Menduni e Roberto De Giorgi, qualcosa forse rischiarerà in questo agognato giorno, ma c’è anche tanto rammarico per le occasioni perse, per le idee caparbie dei giovani di ogni epoca che hanno fallito negli intenti. Piero Maccarinelli riporta in scena Farà giorno – che non moltissimi anni fa ebbe un gran successo con Gianrico Tedeschi e Marianella Laszlo (a chiunque farà piacere ricordarli) – con una compagnia di prestigio anche stavolta. Antonello Fassari, il partigiano, Alvia Reale, la terrorista, e Alberto Onofrietti (già presenta nella scorsa edizione) nel ruolo del borgataro romano che s’atteggia a fascistello.

Renato è ormai un anziano tipografo ancora legato agli ideali gramsciani: uno storico ritratto del fondatore del Pci è appeso alla parete della sua stanza. Manuel è un giovane scapestrato che ama esprimersi con un idioma becero-romano ed esibire i suoi tatuaggi (compresa una scritta sul braccio che inneggia al Dux). Renato ama isolarsi nelle sue letture saltando dalle Lettere dal carcere di Gramsci a Guerra e pace di Tolstoj). Manuel vive di illusioni ed espedienti, tra piccole violenze e amare delusioni. I due che abitano nello stesso palazzo si ritrovano a convivere, praticamente insieme, a causa di un incidente: Manuel ha investito sotto casa Renato, l’ha portato nel suo letto ed è riuscito a strappargli un accordo. Gli farà da bandate e infermiere per due mesi a patto che l’altro non lo denunci. Il ragazzo è già conosciuto al commissariato e stavolta teme di finire dietro le sbarre.

Alberto Onofrietti e Antonello Fassari Foto © Massimiliano Fusco

La coabitazione tra i due provoca un forte conflitto generazionale. Chiunque ascolti le ragioni dell’uno e dell’altro, oggi, è portato a condividere in pieno le idee del più anziano, giudicando quelle del ragazzo avventate e finanche sciocche. Dalla parte di Renato – un Fassari in ottima forma tra l’ironico e l’elegiaco – ci sono certamente fatti storici eclatanti che lo hanno spinto a usare la violenza per conquistare la libertà di una nazione e scacciare il nemico: i segni della storia sono incisi sul suo corpo (una cicatrice sotto il costato, il foro di una pallottola sulla pancia). Ogni suo principio e ogni parola meritano rispetto per quel che noi italiani siamo dal Dopoguerra in poi: uomini liberi. Tuttavia Manuel fa fatica a comprendere quanto sia servito realmente il sacrificio partigiano da quell’8 settembre 1943. Per lui gli stranieri da mandare a casa sono altri: è il rom con cui ha avuto una colluttazione, è il negro che calpesta il suo territorio. La sua totale ignoranza gli fa vedere soltanto il triste e squallido habitat dove vive: una madre ludopatica, un padre assente, una fidanzata che lo tradisce e una sfilza di amici invisibili. Sono pochi quelli che incontra e perlopiù lo sfruttano per piccoli colpi delinquenziali. Il suo atteggiamento da duro, da fascista, è soltanto un riparo per la sua inadeguatezza alla vita sociale.

«Sei troppo ignorante per essere fascista», gli grida Renato, invitandolo a leggere qualche libro, a cercare in letteratura le basi di un’istruzione per conoscere la gente, per tentare di limitare le fregature. È il segnale che qualcosa sta per cambiare nella loro amicizia coatta. E quando sembra che l’intesa cominci a funzionare, irrompe Aurora – che Alvia Reale porta in scena dando peso soprattutto all’imbarazzo della lunga assenza – la figlia di Renato che lui non vede da trent’anni: prima in carcere, poi all’estero con le associazioni di medici senza frontiere, anche lei ha un passato da reazionaria. Terrorista durante gli anni di piombo, presa dalla polizia per aver partecipato a un’azione di guerriglia urbana, è finita in carcere ed ora eccola di nuovo a casa, a chiudere il cerchio dei rivoltosi di tre momenti storici che la nostra nazione visse, ha vissuto e vive con grande tensione e spirito di sacrificio.

Antonello Fassari e Alberto Onofrietti Foto © Massimiliano Fusco

La commedia ci dovrebbe suggerire a non giudicare con troppa superficialità le azioni di chi contesta il presente, perché qualche ragione forse il reazionario di turno potrebbe averla, ma magari è incapace di spiegarla, finanche di metterla a fuoco. Renato in guerra aveva un bersaglio dichiaratamente indicato da una divisa diversa a cui sparare (in fondo il suo obbiettivo era più facile da individuare). Il personaggio di Manuel, magnificamente interpretato da Onofrietti che ne cuce un lucido percorso evolutivo – contesta con il suo linguaggio arrabbiato, con il suo caparbio rifiuto al confronto, una inadeguatezza sociale non dichiarata, un’insoddisfazione nascosta, una mancanza di comprensione difficile da sfatare. La lotta che compie Manuel è piena di contraddizioni, tanto che finisce col maledire il pregiudizio, l’arma che aveva usata fino a quel momento. Lui si rispecchia emotivamente, anche se non lo sa, nell’anima ancora contorta di Aurora, reazionaria contro la società che solo in apparenza ci accarezza e ci coccola. Ma a volte ci stritola.

Nella elegante e realistica cornice scenica di Paola Comencini, costruita soltanto di elementi di mobilio su sfondo nero, Piero Maccarinelli assembla le numerose scene che compongono un unico lungo atto, alternandole con suoni metropolitani realizzati da Antonio di Pofi. Molto apprezzata la delicatezza degli effetti illuministici, semplici, funzionali e raffinati. La commedia, piacevole e delicata, offre momenti per ridere e per riflettere e non manca la commozione. Forse qualche taglio al testo (l’elenco dei diritti, per esempio) avrebbe giovato sia al pubblico che alla leggerezza morale del povero Manuel.

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Farà giorno di Rosa A. Menduni e Roberto De Giorgi; con Antonello Fassari, Alvia Reale, Alberto Onofrietti. Scene, Paola Comencini. Musiche, Antonio Di Pofi. Regia, Piero Maccarinelli. Teatro Parioli, fino all’11 febbraio

Foto di copertina: Antonello Fassari, Alvia Reale e Alberto Onofrietti in «Farà giorno», regia di Piero Maccarinelli Foto © Massimiliano Fusco