Tre giorni nel limbo dell’attesa

A Fortezza Est una storia di cinismo e speranza per raccontare tra ironia e dramma la paura della morte e l’amore per la vita.

Tre giorni per fare i conti con la vita, tre giorni per prepararsi alla possibilità di morire sotto i ferri. 

Rob è un ragazzo malato di cancro alla spina dorsale e si deve sottoporre a un’operazione che ha solo il 50% di possibilità di riuscita. Il fallimento, l’altro 50%, implica la morte durante l’operazione stessa.

Daniele Paoloni

Appena si entra in platea si è subito trasportati in una dimensione quasi onirica di attesa: seduto su una panca ospedaliera il protagonista, di cui gli abiti chiariscono la condizione di paziente, è fermo in tensione a osservare il vuoto con un’espressione corrucciata e spaventata. Il teatro si trasforma in un limbo dove si può solo attendere, per lo spettatore l’inizio dello spettacolo, per il personaggio il suo destino. Tre Giorni è un perfetto mix di delicatezza, dramma e comicità. Prende un tema all’apparenza schiacciante e riesce a gestirlo carburando bene tutti gli elementi, inserendo nella tragedia una sana ironia e rispettosa leggerezza. Il protagonista è un giovane Scrooge moderno, burbero e irascibile, scortese e scontroso, ma sotto sotto fragile e amorevole, come si può osservare nelle chiamate con la madre.  È facile intuire che, come nel romanzo dickensiano, ritroverà se stesso in un percorso interiore travagliato, dove anziché i tre spettri natalizi abbiamo un’infermiera, il migliore amico e una dottoranda di medicina. Il soggetto si ispira in parte al film 50 e 50 del 2011 diretto da Jonathan Levine e interpretato fra gli altri da Joseph Gordon-Levitt, ma il lavoro di elaborazione e sviluppo è assolutamente personale e profondamente toccante. Federico Malvaldi, autore e regista di Tre Giorni è un giovane drammaturgo che crea uno spazio sospeso nel tempo, servendosi della semplicità di una panca da sala d’attesa ospedaliera, che funge da letto nello spettacolo, e un’asta per la flebo. Per il resto i personaggi si muovono in uno spazio quasi vuoto con pochi ma  importanti oggetti di scena, come i fiori e il vassoio di pietanze poco appetibili che Rob rifiuta continuamente, ma che poi diventerà un collante tra due personaggi in modo simile al libro galeotto di Paolo e Francesca. Questo muoversi in un contesto poco delineato visivamente favorisce una percezione non precisa di tempo e spazio, come se stessimo vivendo un incubo sulla paura ancestrale della morte. Non solo morte però, c’è anche tanta vita in Tre Giorni. Amicizia, affetto, amore. I tre personaggi secondari sono amichevoli fantasmi dickensiani che ricordano a Rob che anche nel momento peggiore, nel precipizio assoluto, c’è speranza. Un tulipano può portare con sé una ventata di amore e emozioni bellissime, un cibo senza sapore diventare un momento di condivisione ed empatia. Nel nero più nero, il calore di un sorriso porta con sé senso e valore anche a un solo ultimo istante di vita. Quello di Tre Giorni è un messaggio di luce e speranza, non legato alla certezza di una vita dopo la morte, di un oltre trascendente, qui solo ipotizzato in un momento di debolezza e paura, ma alla bellezza del qui e ora. 

Il testo si pone anche dilemmi etici complessi sia per la persona malata che per chi gli è accanto e deve gestire la portata emotiva di questo legame.

Un ritratto della fragilità umana, ma anche della forza che l’essere umano riesce a tirare fuori nelle situazioni più impensabili e agghiaccianti. La malattia non è affatto romanticizzata o estetizzata: c’è la vergogna, l’urina, l’odore cattivo, lo sporco, la frustrazione del non potersi lavare o andare in bagno senza catetere. Il dolore, fisico e mentale. Il messaggio di speranza non è retorico, ma sentito e sviluppato con sensibilità. Ci sono degli archetipi che nell’arte si sono ripetuti per secoli, ma in questo non solo non c’è niente di male, ma al contrario è un elemento che dà forza e universalità al testo. Quei personaggi risuonano così bene, perché sono dentro di noi. Lo scettico ostile al mondo, che ha perso fiducia e non vede più niente di buono, è dentro il nostro cuore, così come la speranza e il conforto stimolati dalla gentilezza di un’infermiera, o l’innamoramento per una persona con cui non facciamo che discutere proprio perché ci piace follemente. 

Daniele Paoloni si immerge nelle profondità di un personaggio pieno di sfumature e ne restituisce tutta la complessità con una  ruvida dolcezza che piano piano emerge sempre di più, sorpassando quella corazza d’acciaio che indossa per paura di soffrire troppo. Nel suo orgoglio freddo e scettico si percepisce una profonda tenerezza e gentilezza. Si empatizza con quel volto corrucciato e malinconico, sofferente e spaesato e con quel corpo che non funziona più bene e gli infligge dolore e agonia. Un corpo statico, sempre seduto, tranne in un breve frangente di ribellione alla malattia stessa. Un’intensità interpretativa quella di Daniele Paoloni, un carisma scenico non indifferente. Riesce a conferire anche il giusto piglio ironico sarcastico nell’interazione con gli altri attori. In particolare con Emanuela (Francesca Astrei) si innesca una dinamica da Orgoglio e Pregiudizio che accompagna tutto lo spettacolo. L’attrice da un atteggiamento protettivo di chiusura passa ad aprirsi e lasciarsi andare a sorrisi sinceri ed emozioni che inizialmente avverte come pericolose. Il suo personaggio, come Rob, deve fare i conti con i propri desideri e bisogni più profondi, accettando anche il rischio di una sofferenza necessaria a sperimentare qualcosa di bello. L’affascinante dottoranda è infatti sia un personaggio funzionale a risvegliare emotivamente Rob, uno dei tre fantasmi appunto, sia protagonista di un dramma umano lacerante. 

A completare il cast Veronica Rivolta e Luca Carbone, che fungono da intermediari tra Rob ed Emanuela, li spronano ad affrontare sentimenti segreti e timori inconfessabili. Sono aiutanti che  comunque sperimentano anche loro un dolore sulla propria pelle, perché non si può rimanere indifferenti al rischio di perdere un amico.

Con cinismo e irriverenza, ma anche dolcezza ed empatia, Tre Giorni racconta un’attesa lacerante per tutti i personaggi coinvolti. 

Francesca Astrei e Daniele Paoloni

Il testo, vincitore di alcuni premi a partire dal premio SIAD Calcante 2020, colpisce nel segno, così come la regia, essenziale e potente. Tre Giorni è in scena dal 27 febbraio al 1 marzo a Roma al Fortezza Est, un luogo intimo dove si respira la magica bellezza della cultura, la cornice ideale per ospitare uno spettacolo profondo e toccante come Tre Giorni.