“Trapanaterra” allo Spazio Diamante: la recensione

 di Miriam Bocchino

“Ovunque è sud di qualcos’altro”.

Trapanaterra, andato in scena allo Spazio Diamante, è uno spettacolo che parla di fatica, sudore, sacrifici e famiglia. Un’opera in cui il meridione diviene metafora di terra, qualunque essa sia. Terra da cui si è costretti a partire o con cui, a fatica, si è costretti a vivere.

Sul palcoscenico due fratelli, tanto diversi ma faticosamente simili.

Due vite differenti ma accumunate dai ricordi e dalla terra; quella terra da cui, uno, il fratello laureato, è partito e l’altro, l’operaio che lavora in una raffineria, è rimasto. L’uno accusa l’altro: chi di essere scappato dalle responsabilità e dal lavoro e chi di accontentarsi di una vita misera, senza aspirare ad altro. La colpa non esiste, nessuno ha torto o ragione.

La musica è una delle componenti principali dell’opera. Un’“ibrido”, a metà strada tra un’impalcatura di lavoro e un apparecchio musicale (si trasforma in un violino, una tromba, un microfono, un registratore), fa vivere l’opera, divenendo “luogo”.  

Lo spettacolo parte lentamente, con la scena in penombra e il fratello operaio che, in pausa, mangia un panino, iniziando ad ascoltare e a fare musica (si scoprirà essere una delle sue passioni). Il sopraggiungere dell’altro fratello, colui che era partito ma che ora è tornato, al ritmo di una fisarmonica, movimenta la scena. L’accoglienza non è quella auspicata, il rancore nel fratello rimasto è evidente. La divergenza di opinioni appare immensa e solamente nei ricordi dell’infanzia i due sembrano ritrovarsi. Ciò che li accumuna, infatti, non è il presente ma solo il passato.

Lo spettacolo è in dialetto ed ambientato nella difficile ma ricca di struggente poesia terra di Basilicata. Una terra in cui si percepisce l’abbandono del governo, la necessità di sopravvivere “arrangiandosi” e quindi facendo svariati lavori e in cui il “bonus per gli idrocarburi” diviene metafora di lavoro e di sussistenza per chi lo percepisce.

“Quando non reagisci più si muore”. Queste le parole pronunciate da chi è partito e continua a credere nel domani; parole non comprese da chi è invece è rimasto e pensa di non vivere una vita all’altezza di quella degli altri. Atterrisce comprendere che anche il solo pensiero di andare alla laurea del fratello è divenuto impossibile: non solamente a causa di problematiche economiche ma, forse e soprattutto, perché “il non sentirsi all’altezza” causa un blocco nell’azione.

La famiglia unisce e la famiglia divide.

“Sud è fatica. Sud è dove abita l’anima mia, nonostante tutto.”

Ideato da Dino Lopardo
Con Dino Lopardo e Mario Russo
Musiche di Mario Russo
Scene di Andrea Cecchini e Dino Lopardo
Luci Giovanni Granatina, Dimitri Tetta
Supervisione artistica Matteo Cirillo