Intervista a Gianni De Feo regista e coprotagonista della nuova drammaturgia firmata da Roberto Russo
Il palcoscenico del Teatrosophia, dal 17 al 20 ottobre 2024, si prepara ad accogliere Metus Noctis (la paura della notte) di Roberto Russo, una pièce teatrale che promette di trascinare il pubblico in un viaggio inquietante tra realtà e incubo.
Sotto la direzione di Gianni De Feo, che è anche uno dei protagonisti, insieme ad Alessandra Ferro, lo spettacolo rappresenta il terzo appuntamento della stagione 2024/2025 del teatro romano.
Si tratta di un noir dalle forti tinte surreali sulla vera ed insopprimibile sostanza del Male, che si snoda sulla scena tra Sogno e Incubo con il diaframma tra le due dimensioni che si assottiglia fino a scomparire per il protagonista Nino Ceccarelli… Sono certa che l’intervista al Regista e Interprete Gianni De Feo ci potrà portare dentro i fattori salienti dello spettacolo con il suo solito approfondimento, con creatività e intensità.
Cosa ti ha colpito di questo testo di Roberto Russo?
Non è la prima volta che metto in scena e interpreto testi scritti per me da Roberto Russo. Sono testi che nascono attraverso confronti, sia scritti che telefonici, o anche incontri di persona tra Roma e Napoli, dove Russo vive, tra buone cene e bicchieri di vino.
A prima lettura i suoi testi mi lasciano sempre un po’ perplesso, titubante direi. Non è così evidente entrare nel suo labirinto linguistico. Poi questi testi li studi, li scarnifichi, li approfondisci e infine ne scopri tutto quel potenziale stimolante per una buona realizzazione teatrale. Trovo che ci sia qualcosa di geniale nella sua scrittura, anche là dove questa appare contorta. Una scrittura comunque capace di condurti sempre verso un finale a sorpresa. Quello che più mi affascina nei testi, potrei dire, è la mescolanza di linguaggi.
Il personaggio di Nino Ceccarelli è l’uomo qualunque della periferia romana che vive il suo tran tran quotidiano?
Non definirei Nino Ceccarelli un uomo qualunque. Vive nell’estrema periferia romana, è vero, tra degrado morale, furti, spaccio. Si esprime con un linguaggio sboccato e volgare, certamente, con un romanesco sgangherato e coatto che evoca le vecchie periferie pasoliniane o le prostitute delle strade felliniane, ma, a tratti, è totalmente illuminato da un lirismo poetico sorprendente. Per cui si intuisce che è un uomo abituato alla lettura di libri, forse romanzi epici. È un filosofo del Male, un poeta maledetto. Potrebbe ricordare il marchese de Sade e comunque, come il Don Giovanni mozartiano, rifiuta ogni forma di pentimento per i mali commessi. Direi piuttosto che Nino Ceccarelli è un personaggio abbastanza complesso e proprio per questo ammantato di fascino, seppure di un fascino maledetto, oscuro. Nelle ultime battute urla, perentorio e spavaldo: “Il Male è l’unica cosa grande che ho fatto in questa vita dai margini sfalsati e ridotti. Solo il Male mi è stato di conforto. Io non mi pento davanti a un Dio che non conosco e che non mi conosce. Sono io il mio Dio, Nino Ceccarelli. E che voj da me, me chiamo così!”
Gianni, ci hai abituato alle trasformazioni più diverse, come ti senti a dover incarnare la paura di un uomo della strada?
Era da tempo che volevo cimentarmi in una storia di degrado, confrontarmi con un personaggio e un linguaggio di strada diretto, senza sfumature e complicanze psicologiche. Qui mi sono sperimentato in una nuova gestualità, una maniera diversa di muovermi nello spazio scenico, una vocalità più cruda, una caterva di espressioni sboccate fino a toccare punte blasfeme. Con questo testo Russo mi ha lanciato la sfida. E io l’ho voluta cogliere. Tuttavia, anche qui non mancano i virtuosismi espressivi, i picchi malinconici. Nino Ceccarelli sguazza nel fango o nell’urina con la stessa gioia e avanza spavaldo con i capelli grondanti vento o fango.
Il sogno, l’incubo, preferisci lasciarti andare al sogno o affrontare l’incubo?
Direi che preferisco lasciarmi andare alla vita e lasciarmi sorprendere da tutto quello che mi regala appagandomi. I sogni mi coccolano, a volte mi consolano altre volte mi turbano. Incubi o Sogni credo siano le chiavi per entrare in quegli anfratti misteriosi del nostro inconscio. Ma quali porte apriranno queste chiavi?
Come si svolge la tua interazione con l’attrice insieme a te protagonista della scena, Alessandra Ferro?
Con Alessandra ci lega una lunga e antica amicizia fatta di affetto e stima reciproca. Ho diretto Alessandra in diversi spettacoli tra cui “Le serve” di Jean Genet e “La bambola spezzata” di Emilia de Rienzo dove lei interpretava il ruolo di una madre nazista dai toni grotteschi e crudeli. È un’attrice capace di dare emozioni forti e di immedesimarsi nei personaggi con autenticità, senza mai cedere ai noti difetti di maniera e alla tentazione della “falsa e buona recitazione”. Tuttavia, questa è la prima volta che condividiamo la scena in un duetto forte, ironico, grottesco, comico e drammatico allo stesso tempo e che conferma il nostro legame affettivo e professionale.
Tu sei una persona molto solare, come ti sei preparato per rappresentare l’ombra?
Nella luce s’acquatta l’ombra. Nell’ombra si confonde la luce.
Come hai ragionato per imbastire la regia?
Non ragiono mai prima di affrontare una regia. Mi lascio piuttosto trasportare dall’immaginazione. È lì che trovo l’ispirazione che mi conduce all’atto creativo. Direi che è un processo quasi naturale.
Quale peso hanno la scenografia, i costumi e la musica per la scena?
Tutto ha un peso fondamentale nella costruzione di uno spettacolo. Già nella prima fase di lettura penso subito a quella che sarà la scena che occuperà lo spazio e a come saranno i costumi che vestiranno i personaggi. Così per le musiche, ancora di più nel caso in cui si tratta di musiche originali composte dal musicista in sintonia con l’idea di regia. Tra l’altro, nei miei spettacoli le musiche accompagnano quasi sempre gran parte della trama drammaturgica. Per questo spettacolo Adriano D’Amico ha composto musiche di grande effetto. Così la scenografia di Roberto Rinaldi e Sabrina Pistilli e i costumi di Gianni Sapone. È un viaggio collettivo che si può fare solo insieme attraversando lo stesso mare.
Ci hai abituato alla tua bravura nel canto, hai previsto di portare in scena qualche brano eseguito dalla tua voce? O da altre voci?
In un primo momento credevo di non inserire nessun brano cantato. Ma poi l’ambiente, le parole, la storia dei ragazzi di vita, tutto il contesto mi ha fatto scivolare quasi inevitabilmente in una canzone di Pier Paolo Pasolini: I ragazzi giù nel campo. Una canzone a cui sono molto legato e che avevo già cantato all’Auditorium Parco della Musica in uno spettacolo con Cosimo Cinieri. Una virgola di pura Poesia.
Quale altra opera porterai a Teatrosophia in questa Stagione 2024-2025?
Un progetto molto ambizioso. Un testo di Marco Buzzi Maresca sul mondo artistico della coppia di pittori Jackson Pollock e Lee Krasner. Colgo l’occasione per ringraziare Guido Lomoro, direttore artistico del teatro che in questo caso sosterrà il progetto anche sul piano produttivo. Un’altra sfida nata da un bel gruppo di compagni di avventura, dove s’intrecciano danza, musica, video proiezioni e ancora canto. Al mio fianco Serena Borelli, un’attrice di eccezionale empatia e bravura.
Bianco – il volto di Jackson Pollock e Lee krasner sarà in scena al Teatrosophia dal 22 gennaio al 2 febbraio 2025