Tra omaggi e remake il Locarno Film Festival ospita Irène Jacob e il nuovo film di Vincent Grashaw

Ospite del Locarno Film Festival, l’attrice svizzera anticipa il suo nuovo film in concorso a Venezia mentre dal cilindro del Tribeca un film che farà parlare di sé

È stata la grande attrice Irène Jacob, prossima protagonista del nuovo film di Amos Gitai in concorso all’imminente Mostra del Cinema di Veneziascoperta da Krzysztof Kieślowski (La doppia vita di VeronicaTre colori) a entusiasmare in queste ultime ore il pubblico di Piazza Grande alla 77° edizione del Locarno Film Festival, dove ha ricevuto il prestigioso Leopard Award. Presenziando alla visione della copia restaurata del film Rouge, la Jacob che ha lavorato con alcuni dei più grandi registi europei, parlando del suo mentore ha detto: «Kieslowsky – ci ha detto l’attrice ricordando una cena insieme a Mosca con il fratello Nikita – è un regista monumentale a cui sarò sempre riconoscente. Un autore che lavorava ai suoi film cercando sempre di rendere partecipe il pubblico. La stessa attenzione   che nutre Amos Gitai con il quale a Venezia presenteremo Why war. Un’opera che riflette su alcune discussioni intellettuali attraverso la corrispondenza intercorsa tra Einstein e Freud cercando di spiegare la brutalità delle guerre che continuano a colpire il nostro mondo concentrandosi soprattutto sulle cause sociali, politiche e storiche legate al conflitto tra israeliani e palestinesi. Il film – ha concluso la Jacob – non è una fiction ma neanche un documentario, è piuttosto una riflessione nella quale Mathieu Amalric interpreta Freud e Micha Lescot è Einstein e i due si scambiano delle lettere, mentre io uso il linguaggio di Virginia Woolf e di Susan Sontag per porre delle domande rispetto a tutte le immagini di guerra con le quali ogni giorno ci troviamo a convivere».

Irène Jacob in Piazza Grande a Lugano

Intanto fanno “rumore” le immagini di The Seed of the Sacred Fig del regista iraniano Mohammad Rasoulof, il vincitore morale dell’ultimo Festival di Cannes, con un’opera raffinata che approfondisce come l’unica speranza oggi più che mai sia legata alle giovani generazioni in un film coraggioso che rappresenta un’allegoria straordinariamente avvincente sui costi corruttivi del potere e sulla repressione delle donne sotto un patriarcato religioso che schiaccia le stesse persone che afferma di proteggere.

Fra i grandi remake che propone questa edizione del Festival, l’omaggio alla storia produttiva dell’americana Universal con My sister Eileen (Mia sorella Evelina) diretto da Richard Quine con Janet Leigh e Jack Lemmon, una sfavillante commedia musicale del 1955, remake a colori dell’omonimo film del 1942 di Alexander Hall.  Versioni entrambi godibili per un film dedicato a quelle donne che nel mondo dorato di Broadway e Hollywood cercano di farsi spazio in un periodo dove nessuno immaginava l’impatto dirompente del #metoo, cinquant’anni dopo.  E per ricordare come erano quelle straordinarie donne nella Hollywood degli anni ’50, la rivista Life, che quelle giovani star esaltava in copertina a partire dalla giovanissima e bellissima Elizabeth Taylor, esce ora in tutte le librerie, edito da Taschen, un doppio volume dal titolo Life Hollywood, 600 immagini dagli archivi Life con le foto del grande Philippe Halsman. E a proposito di libri e di festival ma soprattutto di produzioni e produttori, così come feci negli anni ‘70 sollecitato dall’editrice Anica che pubblicò la raccolta di numerose interviste ai produttori più importanti del mondo alla vigilia del terzo millennio, oggi in libreria non perdete Champagne e cambiali  scritto  da Domenico Monetti e Luca Pallanch, un libro che affonda le radici nel sottobosco delle case produttrici, dove come scrivono gli autori: «I festival e i tappeti rossi sono per pochissimi»;  nella maggior parte dei casi si passa attraverso la cruna dell’ago di  lacrime e sangue, sacrifici assurdi e giochi di destrezza dove spesso i film si perdono nel limbo delle opere dimenticate , anche se il cinema rimarrà sempre il più bel trenino elettrico che sia mai stato inventato a bordo del quale fra “champagne e cambiali” sono saliti in tanti: da Rossellini a Visconti,  da Rosi a Monicelli, da De Sica ad Antonioni  passando per Bellocchio, Fellini, Lizzani, Olmi, Avati, Martone, Garrone, fino a Benigni, Salvatores e Sorrentini, gli ultimi tre premi Oscar del nostro cinema.

Bang Bang (2024) | MUBI
Tim Blake Nelson in Bang Bang

E per chiudere in bellezza fuori concorso abbiamo visto Bang bang di Vincent Grashaw interpretato da un pregevole Tim Blake Nelson, già presentato al Tribeca Film Festival di Robert De Niro dove ancora una volta il cinema e il mondo del pugilato offrono un connubio capace di regalare forti emozioni. Per tutti ricordiamo Toro scatenato di Martin Scorsese con un Robert De Niro da Oscar nel ruolo del campione dei massimi Jack La Motta. L’eroe della storia interpretato dal sessantenne Tim Blake Nelson è Bernard Rozyski soprannominato bang bang, campione in pensione, amareggiato dai ricordi che vive in uno squallido appartamento alla periferia di Detroit. Quando un giorno alla sua porta busserà la figlia separata che gli chiederà di tenere per qualche tempo il figlio, quel nipote mai visto prima, un ragazzo problematico che faticherà a trovare il suo posto nel mondo e che rappresenterà  per il vecchio campione un’occasione di riscatto. Davvero un bel film!